A 20 anni dalla caduta del muro di Berlino, queste nazioni, che continuano a fare i conti con un passato drammatico, hanno però una marcia in più. I numeri di una rivoluzione sorprendente Dopo la caduta del muro di Berlino così tante erano le necessità dei Paesi dell’Est Europa che una sorta di task-force della filantropia internazionale andò in soccorso. Sono passati 20 anni e la situazione oggi si presenta molto diversa: quei Paesi hanno visto crescere la società civile e aumentare il numero delle fondazioni benefiche. In Ungheria nel 2005 erano oltre 15mila. La Polonia ne ha contate 6mila nel 2002. La Repubblica Ceca ne ha registrate 1.500 nel 2006. La Bulgaria 175 nel 2003. La Slovenia 143 nel 2005. La Lettonia nel 2007 ne aveva 145. Anche i pochi dati comparativi disponibili segnalano una progressione impressionante: in Slovacchia, ad esempio, sono passate in dieci anni da 103 a 338.
Ricucire la forbice sociale
Non a caso, uno dei dibattiti organizzati all’assemblea annuale dell’European Foundation Center ha visto protagonisti alcuni rappresentanti di questa “nouvelle vague” delle fondazioni dell’Est europeo (fra l’altro, i delegati più giovani e la più alta percentuale femminile visti a Roma). Un confronto utile per comprendere quali siano le problematiche che attraversano queste fondazioni e le comunità in cui esse operano. Un tema ad esempio li ha trovati tutti d’accordo: la rivendicazione dell’identità europea. «Noi siamo e ci sentiamo completamente europei. Non esiste una specificità delle realtà che operano nell’Est Europa», ha scandito Ansis Berzins (Valmiera Community Foundation e Latvian Community Foundations Movement), mentre gli altri partecipanti (da Maria Chertok della Charities Aid Foundation Russia, a Viera Klementová di Slovak-Czech Womens’Fund) annuivano. Come a dire, la filantropia dell’Est ha ragioni e modalità analoghe a quelle dell’Ovest: nasce dal vuoto di servizi socio-assistenziali e prova a ricucire i tagli prodotti da una forbice sociale che sempre più divide i poveri e i ricchi.
I conti con il passato
A ben guardare una specificità esiste (e non solo rispetto alla distinzione fra quei Paesi che sono entrati anche di recente in Europa e quelli che sono semplicemente “candidabili”). È nelle cose, ovvero nella storia, anche recente, di queste nazioni che continuano a fare i conti con un passato drammatico. Si prenda Mozaik – Community Development Foundation, nata in Bosnia-Erzegovina nel 2000, con sede a Sarajevo. In fondo, la sua missione è quella di contribuire ad archiviare il ricordo della guerra e aprire prospettive per il futuro. Non è un impegno che conduce da sola: deve molto a donatori di altri Paesi, come la Charles Stewart Mott Foundation o la King Baudouin Foundation (e anche in questo è esemplare). Ma sempre più Mozaik (www.mozaik. ba) sta sviluppando programmi importanti su inclusione e giustizia sociale, a favore dei giovani e delle piccole comunità rurali con meno di 5mila abitanti, avendo puntato moltissimo – e si capisce il perché – sulla partecipazione dei cittadini e sul superamento delle barriere etniche.
Il nodo degli investimenti
Quanto alle risorse, nel 2005 Mozaik ha impiegato poco più di 152mila euro. E qui si tocca con mano un’altra differenza non di poco conto: la Bosnia-Erzegovina, si dirà, non è nell’Ue. È vero. Ma la Lettonia, dove opera la Valmiera Community Foundation, sì. E la Valmiera è una delle sei fondazioni di comunità che nel 2003 hanno costituito il Community Foundation Movement per unire le forze e realizzare iniziative fra cui il Laboratory of Youth Ideas (le altre sono a favore dello sviluppo locale, per una migliore qualità della vita). Ebbene, nel 2006 insieme le fondazioni di comunità hanno raccolto 216mila euro. L’anno successivo la Fondazione Soros ha investito, sempre in Lettonia, 1 milione e 873mila dollari (la fondazione americana è del resto molto attiva in queste zone, dove ha creato istituzioni autonome ad esempio in Albania, Bulgaria, Kosovo, Macedonia, Lituania, Romania, Serbia).
L’impegno sulla strategia
Non è un caso, forse, che – nel confronto da cui siamo partiti, nell’assemblea Efc – gli altri temi siano stati la dimensione economica (ma un discorso a sé va fatto per nazioni come la Russia – vedi box in pagina), la visione strategica e la professionalità degli operatori. Fronti sui quali anche i Paesi dell’Est si impegnano da tempo, avendo creato a tal fine organizzazioni di secondo livello per promuovere e organizzare la filantropia. Così dal 1996 esiste il Czech Donors Forum (www.donorsforum.cz, associa 31 fondazioni della Repubblica Ceca).
Nel 1999 è stato fondato il suo omologo in Romania (il Romanian Donors’ Forum, forte di dieci soci: www.donorsforum.ro), cui ha fatto seguito la creazione, nel 2002, del Polish Donors Forum (14 membri, fra regolari e sostenitori: www.forumdarczyncow.pl). Analoghe realtà lavorano in Russia, Slovacchia, Ucraina. A significare che, ovunque, l’unione fa la forza.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.