Non profit

Il valore di quei quattro milioni

L'affluenza alle primarie dell'Unione simboleggiano il desiderio di partecipazione.

di Giuseppe Frangi

I quattro milioni di persone che domenica 16 ottobre si sono messi in fila per dire la loro sul candidato premier dell?Unione, esprimono qualcosa di inatteso da tutti: non era solo per scaramanzia che gli stessi promotori delle primarie facevano previsioni di quattro volte inferiori, giudicandolo comunque un risultato positivo. La realtà, invece, ha riservato una sorpresa, che il tono sprezzante e stizzito di una parte del polo non riesce certo a nascondere. E questa sorpresa ha un nome: il desiderio di partecipazione. Ovvero, il rifiuto di quella politica verticistica e televisiva che salta tutte le rappresentanze intermedie e che ha profondamente segnato la vita politica italiana di questi anni. Una concezione in cui, molte volte, è rimasta imbrigliata la stessa sinistra, come dimostra la campagna elettorale super mediatica e fallimentare di Fausto Bertinotti. Comunque la si pensi, da qualunque parte si voti, il risultato di domenica rappresenta una boccata d?ossigeno salutare. Non era facile trovare i seggi, c?era da perdere tempo in fila (e magari in fila non c?erano solo elettori dell?Unione). Eppure tutti questi intralci sono stati trasformati dalla voglia di far sentire la propria voce in un?opportunità di festa e di incontro: un altro sintomo di come la partecipazione sia in grado di rigenerare, anche nelle piccole cose, un tessuto sociale. Proprio il giorno prima, la grande politica aveva registrato una pagina triste e del tutto in controtendenza rispetto a quanto scritto sin qui. Marco Follini si dimetteva da segretario dell?Udc perché sconfitto e isolato dai ministri del suo stesso partito sulla proposta di riforma elettorale. La riforma proporzionale (un?idea condivisibile per ridare un filo di credibilità ai meccanismi di rappresentanza) era stata infatti ?tradita? dal colpo di mano dei partiti che avevano concepito le liste bloccate dei candidati. Insomma, mentre da una parte l?Italia registrava un inatteso sussulto di partecipazione, dall?altro l?apparato della politica correva a proteggersi e a blindare le proprie garanzie. Non vogliamo farne una questione di schieramenti, perché sarebbe inutilmente riduttivo e depotenzierebbe quel segnale arrivato dalla base. Il segnale lanciato domenica, infatti, è il segnale di cittadini che sono stanchi di trovarsi schiacciati da una politica prepotente, solipsistica e incapace di affrontare uno solo dei problemi che attanaglia la loro vita. Il modello leaderistico e plebiscitario della politica condita di trovate e di spot è alle corde. La politica che vuole isolare i cittadini, renderli soggetti deboli e in sua balìa, non solo ha fallito ma è destinata a incassare sonore sconfitte. Ma si deve stare attenti anche ad un?altra tentazione: quella di ridurre il risultato di domenica a un assegno in bianco alla parte politica che oggi è all?opposizione. Anzi, ad una parte di quella parte. Sarebbe invece bene che chi ha avuto quest?investitura dicesse con chiarezza quale idee ha per riportare la politica a un rapporto meno anomalo con i cittadini e con i loro problemi. E soprattutto, dicesse che ruolo e che spazio è intenzionata a lasciare a quelle forze vitali della società civile che oggi sono sole in prima linea nel difendere diritti, nel rispondere ai bisogni, nel creare tessuti di nuova comunità.


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