Volontariato

Il vaccino e quella incapacità di accettarsi fragili

di Giulio Sensi

Forse prima o poi capiremo che la vera resistenza e il vero anticonformismo oggi sono ribellarsi alle narrazioni polarizzanti che semplificano il dibattito, ci allontanano dalla verità, ci fanno arroccare in posizioni caricaturali del pensiero. Insomma, in due parole ci rincoglioniscono e ci rendono cattivi.

Anche questa roba dei vaccini anti covid è così. Da una parte ci sono i no-vax o i boh-vax (i temporeggiatori), quelli che si vogliono sentire liberi di diventare una rottura dì palle per quegli altri e dall’altra i predicatori pro-vax, quelli che per loro il vaccino è una sorta di tso da sottoporre ai matti che non lo vogliono fare. Ogni gruppo ha i suoi simboli e le sue parole d’ordine, i suoi eroi e soprattutto i suoi superficiali dogmi.

Corrono dietro alle proprie posizioni, scalando una piramide che alla base ha l’enorme complessità di ciò che stiamo vivendo e in cima due tre certezze. Si assembrano tutti sulla punta, e sulla spaziosa e comoda base rimangono in pochi. O forse non sono pochi, ma non si sentono e stanno zitti e guardano in alto ad assistere incuriositi allo spettacolo dei polarizzati che si insultano.

Tutti si posizionano sugli spalti di uno stadio virtuale e fanno il tifo, come se un vaccino contro un virus che sta rovinando il pianeta fosse una palla dietro cui correre e la salute pubblica una partita di calcio. A ben vedere è il solito meccanismo che su ogni maledetto tema della vita civile sta impoverendo il pensiero di tutti e di ciascuno. E nasconde l’unica certezza: i vaccini non fanno bene o male, ma sono uno dei rimedi più potenti alla nostra fragilità.

Perché siamo ridicoli quando trattiamo le nostre certezze come se fossimo onnipotenti. Perché è fragilità rimanere senza le difese immunitarie contro il virus ed è fragilità esporre il proprio corpo ad un vaccino che lo mette alla prova. Ecco che forse partire dalla condivisione della sensazione di questa fragilità potrebbe aiutarci ad imparare a dialogare, ad iniziare a scendere da quella punta della piramide dove crediamo di stare comodi e invece siamo scomodi a noi stessi e agli altri.

Ed è forse dialogando da fragili simili che potremmo capire l’unica cosa necessaria da intendere per sentirsi un po’ uniti nella lotta contro il virus: che il vaccino è comunque la solzione più efficace, che non è una passeggiata di salute, ma un male, piccolo o grande che sia, necessario ad uscire da questa situazione. Che non è da anticonformisti fare finta di niente, come non è da eroi o esaltati andarsi a vaccinare.

Ma è da persone responsabili andare a farlo con un piccolo sacrificio, anche senza entusiasmo e malvolentieri. Che si può avere paura ad aprire quel portale e prenotarsi, ma occorre affrontarla quella paura perché, almeno per ora, non c’è altro rimedio.

Che il benaltrismo anche sul green pass non si può sentire, che stare fermi non serve a niente se non a rimandare la soluzione e danneggiare tutti. Che bisognerebbe sentirsi parte di una stessa comunità: è l’unico modo per diventare, in fondo, un po’ meno fragili.

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