Welfare

Il turismo nell’era del Welcome

«Se la parola Welfare fosse esotica ed attrattiva come la parola Welcome forse non sarebbe più percepito come un affare relegato alla povera gente, alle persone fragili, ma sarebbe un fattore attrattivo della società, un suo elemento di orgoglio e di bellezza», scrive sul numero di VITA di maggio, Angelo Moretti, Referente della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome

di Angelo Moretti

Una scritta pubblicitaria o un cartello stradale che inizia con “Welcome in…” corredati da belle immagini ambientali ha certamente un forte richiamo esotico per chi la legge, stimola l’attrazione. Può trattarsi di Dubai, Israele, Casablanca, Sicily, Capracotta, ma tutto ciò che viene dopo quell’invito cortese in lingua anglosassone rende desiderabile il luogo presentato, perché sai che chi ti ha augurato quel “Welcome!” ha interesse che tu raggiunga o permanga in quel posto e stia bene, che tu possa portare via un bel ricordo, che tu possa legare quel luogo del mondo ad una sensazione di benessere, bellezza e leggerezza.


Se la parola Welfare fosse esotica ed attrattiva come la parola Welcome forse non sarebbe più percepito come un affare relegato alla povera gente, alle persone fragili, ma sarebbe un fattore attrattivo della società, un suo elemento di orgoglio e di bellezza. Come si può fare per legare questi due mondi di significati, apparentemente così distanti come Welfare e Welcome, e provare a farli uscire migliori entrambi? È possibile solo se si inquinano e si contaminano entrambi dei significati dell’altro. Il Welcome che è solo patina colorata, immagine edulcorata e pompata di un luogo, che è solo la prestazione garantita di un piacere di tipo consumistico è di fatto un “nonluogo”, una disneyficazione della geografia, per dirla con Augè, in cui tutto è deputato alla consumazione veloce degli oggetti del merchandising. Quando il turista è dentro fa un’esperienza estatica di un momento, ma non porta a casa che una sensazione di consumo che potrà ripetere in qualsiasi altro luogo disneyficato del mondo. Un centro massaggi, un centro commerciale iperattrezzato, un modernissimo parco giochi, una cucina di lusso, una bella piscina riscaldata, sono “oggetti” ripetibili in qualsiasi parte del globo.

Se invece il Welcome diventa un po’ più welfare, chi entra nella dimensione del “benvenuto” entra nella sfera relazionale del luogo, fa incontri nuovi con culture e stili di vita, si sente accolto da una diversità che non gli appartiene nella quotidianità e che diventa “magica” per qualche giorno, perché in quella esperienza la persona accolta sente che una parte di sé si fonde con una dimensione ambientale nuova, in cui l’unicità del paesaggio, la comunità che accoglie, la lavorazione dei cibi, l’organizzazione dei tempi di vita, i pensieri che nascono in quel luogo sono parte del Welcome stesso. Il turista non è più un consumatore, un consumer, ma un prosumer, una persona che con il suo contributo unico ed irripetibile “produce” l’esperienza che si genera in quel luogo e l’accoglienza che riceverà sarà legata per sempre a questa interazione tra prestazione ( i bisogni vitali soddisfatti) e relazione ( il vissuto emotivo e l’arricchimento empatico che ha accompagnato la sua permanenza circondato da persone che lo hanno accolto). A dispetto di tutti gli anglofobi, non si può tradurre senza tradire la parola Welcome: nella lingua anglosassone è l’invito ad entrare in un posto ma anche la risposta ad un “thanks”, You’re Welcome, è intraducibile in italiano perché la nostra traduzione non ha la stessa intensità, non c’è un rapporto unilaterale come quello che avviene tra un “grazie” ed un “prego”, “tu sei il benvenuto” apre alla reciprocità tra chi da e chi riceve.

Se il Welfare fosse più Welcome si uscirebbe definitivamente dalla logica prestazionale dei servizi sociali, formativi e sanitari e si entrerebbe nella dimensione relazionale in cui ogni persona potrebbe sentire di essere accolta nel luogo in cui abita, non come utente del Welfare, ma come persona unica ed irripetibile, un prosumer dello stato sociale. Martin Buber scriveva che la vera solidarietà avviene “quando l’uno fa sentire all’altro che approva la sua esistenza”, ed è in questa approvazione reciproca che avviene il vero Welcome, quel sentirsi accolti senza pregiudizio dentro una relazione umana, che non è salvifica per le prestazioni che eroga ma perché ristabilisce il riconoscimento reciproco dell’appartenenza ad una comunità. Il buon Welfare non è una casa di riposo eccellente, un carcere efficiente, una clinica pulitissima, un divertente centro per disabili, ma è un condominio in cui una persona anziana sente la solidarietà dei suoi vicini dentro il palazzo abitato, una strada in cui gli abitanti avvertono la corresponsabilità per le barriere architettoniche presenti, un’azienda in cui i fragili trovano lavoro e partecipano con il loro contributo produttivo e così via.


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*Angelo Moretti, Rete dei Piccoli Comuni del Welcome

Photo by Kait Herzog on Unsplash

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