Non profit

Il trionfo di Millionaire

Otto statuette al film di Boyle, un film parabola del riscatto in salsa hollywoodiana e con spezie indiane.

di Maurizio Regosa

Danny Boyle è un genio. Lo si sapeva anche prima della cerimonia che ha distribuito Oscar come caramelle. Il suo cinema ha ritmo, spudoratezza, concretezza, sapore, coraggio persino. È sfrontato e scanzonato al punto giusto, impegnato quanto basta. A suo modo romantico. Cosa desiderare di più?  Meritate, vien da dire, le otto statuette dell’81 edizione degli Academy Awards (The Millionaire aveva avuto 11 nomination: e il risultato è stato coerente). Oltre Oceano, giustamente, non hanno tenuto conto della gaffe tutta italiota del doppiaggio (che ha trasformato in musulmani gli estremisti indù, responsabili di un attacco nel corso del quale muore la mamma del protagonista). Si è preferito guardare all’esotismo dell’ambientazione, alla sceneggiatura pensata come a un rigoroso congegno a incastri, alla forza della memoria involontaria. Quella che ti spinge a scavare anche quando non te la senti e che, in cambio, ti assicura prestazioni straordinarie. Esattamente quelle di Jamal che riesce a superare i sempre più difficili quiz di Chi vuol essere milionario (tutto il mondo è paese, aimè) proprio andando a ripescare nel dolore e nel ricordo lacerti improvvisati di un’educazione da strada. Ovvero raccolta sui marciapiedi di un’India povera e derelitta, quella delle centinaia di  migliaia di bambini abbandonati, delle famiglie che dormono ai margini delle vie, della malavita che si organizza e dei treni che si perdono lungo binari interminabili. È la parabola del riscatto, verrebbe da dire, in salsa hollywoodiana e con spezie indiane. Ecumenica e aperta alla speranza (con quel finale, tutto esotico e malizioso in cui l’inglesissimo Boyle rifa Bollywood e se la ride ma senza cattiveria. Con molta bonomia british).

L’errore nella traduzione.

Nella versione italiana del film, come rivelato da Lucio Brunelli nella sua rubrica su Vita non profit magazine, c’è un grave errore di traduzione che trasforma gli assalitori in muslmani, quando invece nell’originale sono indù. A questo proposito la casa di distribuzione italiana Lucky red ha ammesso l’erroe e ha messo sul sito questo comunicato:

«Per il doppiaggio di “The Millionaire” è capitato che, all’interno di una scena, una frase si sia confusa con il brusio di fondo, provocando l’equivoco sul significato e il senso della scena stessa. In un contesto in cui si sovrapponevano frasi concitate, urla e grida, la parola “Prendeteli” si è impastata in fase di mix con il brusio generale. Il risultato purtroppo è che i musulmani, che nella scena sono le vittime della violenza, sembrano esserne la causa. Sull’errore si è scatenata una forte reazione, anche perché i conflitti tra religioni sono in una fase acuta. Qualcuno ci ha accusato di aver volutamente cambiato il senso di quella scena. Così non è stato, non c’è stata nessuna scelta premeditata. Si è trattato di un errore, un errore nei livelli e negli equilibri dell’audio tra voci, brusii e rumori. Sgradevole e odioso quanto si vuole ma, per rimanere in tema religioso, crediamo abbastanza veniale. Ce ne dispiace, e ripareremo correggendo il mix sia per l’home video che per la Tv»

Gli altri risultati

Comunque un ottimo film. Non c’è dubbio. The Millionaire un riconoscimento se lo meritava. Che dovesse moltiplicarsi per otto (miglior film e regista, per la sceneggiatura non originale, per il montaggio, e qui siamo d’accordissimo, per la fotografia e la colonna sonora, idem, per la canzone originale e il suono), è altra faccenda. Probabilmente insondabile. Perché ad esempio non era male nemmeno la musica di Valzer con Bashir (di Ari Folman, pure in gara e francamente dispiace sia stato completamente ignorato).

Quanto agli altri premi, poche pochissime sorprese. In qualche misura prevista la statua a Milk (a Dustin Lance Black, per la sceneggiatura originale), mentre da mesi le cronache tambureggiavano di una statuetta (postuma) a Heath Ledger (miglior attore non protagonista per  Il cavaliere oscuro, in Italia non ancora uscito, vincitore di un secondo Oscar per il miglior montaggio sonoro). Come pure davano per favorita Penelope Cruz (anche lei non protagonista di un Woody Allen decisamente minore, Vicky, Cristina Barcelona). Analogamente la lunga notte di Hollywood ha premiato Kate Winslet,  annunciatissima  migliore protagonista per The Reader. Qualche brividino lo hanno invece dato gli Oscar per i protagonisti maschili. Sean Penn ha battuto Mickey Rourke (fare l’omo, in Milk, rende più che fare il wrestler. Che ne dirà la Mussolini?). Stupisce un po’ invece il tripudio (3 statuette) per Il curioso caso di Benjamin Button. Migliori effetti speciali, miglior scenografia e miglior trucco. Stupisce perché è stato ignorato Brad Pitt (uno strano caso, vien da dire, di maschilismo al contrario: non dicevano che per vincere un Oscar un’attrice non dovesse che farsi brutta e vecchia?). E sì che molti hanno lodato Mr. Angelina Jolie proprio per la sua interpretazione.

 


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