Welfare

Il tribunale che punta sui galeotti

Il caso di Milano

di Redazione

Al quarto piano del Palazzo di giustizia di Milano, in una sala al confine tra gli uffici della procura e quelli del tribunale, si trovano quindici persone occupate in un’impresa che farebbe tremare i polsi a chiunque: la digitalizzazione di tutti gli atti dei processi penali che passano dalla Procura della Repubblica milanese. Qui si continua a lavorare, anche dopo il paventato rischio di blocco informatico negli uffici giudiziari. Ad occuparsi del delicato lavoro, non ci sono cancellieri, ma 16 detenuti nelle carceri della città.
Ogni giorno si smaterializzano fino a 8mila pagine. «Un sistema con grandissime potenzialità, se si pensa che i giudici producono circa 6mila pagine di atti al giorno», spiega Claudio Castelli, presidente aggiunto dell’ufficio dei giudici per le indagini preliminari e responsabile dei processi di innovazione del tribunale presieduto da Livia Pomodoro.
I 36 computer sono stati messi a disposizione dall’Ordine degli avvocati, i fondi (540mila euro per coprire l’anno e mezzo di durata del progetto) provengono invece dalla Cassa delle ammende del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
I detenuti, ammessi al lavoro esterno in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, hanno iniziato a lavorare il 4 ottobre scorso.
In questi mesi si è ancora nelle fase sperimentale del progetto, ma ad aprile l’attività sarà a pieno regime. «Un periodo di calibratura necessario per implementare adeguatamente il programma di gestione dei documenti: abbiamo incontrato qualche difficoltà nel rendere tutti i contenuti navigabili e accessibili, ma ora i problemi sono superati e siamo in fase di rodaggios. Per il resto la maggior parte del tempo va via nel togliere le spillette dai faldoni», dice Castelli.
Tutti d’accordo nel mettere a disposizione dei condannati le carte dei processi? «Qualcuno era scettico, anche se comunque si tratta di fascicoli su cui non c’è più il segreto istruttorio. Ma è bene tenere presente l’alto valore dell’operazione: si rende un grande servizio alla giustizia, migliorandone l’efficienza, e allo stesso tempo si attua la finalità rieducativa della pena», sottolinea il magistrato.
Il lavoro è gestito dalla cooperativa Cremona Labor, che nel settore ha una certa esperienza. Già nel 2007 si era occupata degli atti del tribunale di Cremona, salvando dal deperimento della carta processi storici come quello per Piazza Fontana e per la strage alla Questura di Milano.
Se una parte importante delle vicende processuali italiane avrà un futuro, sarà anche grazie a lei e ai 15 detenuti milanesi. [A.S.]

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