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Il trappolone della spending review
Organizzazioni non profit costrette ex lege a gare al massimo ribasso per i servizi gestiti per conto delle amministrazioni pubbliche. Lo si legge nelle pieghe del testo voluto da mister forbici Enrico Bondi. L'allarme di Alceste Santuari
Si scrive spending review, ma si capisce poco. E questa volta non è per l’inglese. A lanciare l’allarme è Alceste Santuari professore incaricato di Diritto Amministrativo alla Facoltà di Sociologia di Trento e autore dell’ottimo “Le organizzazioni non profit” (Cedam, 2012), che dedica uno specifico capitolo proprio al rapporto fra amministrazioni pubbliche e organizzazioni non profit. Ma veniamo al problema del decreto legge ribattezzato “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” (in allegato la bozza del provvedimento): «È un testo scritto molto male, in cui davvero si fatica a capire la ratio, a meno che l’obiettivo non sia quello di equiparare i sevizi delle non profit ai servizi pubblici locali in house, per dire in sostanza che questi vanno cancellati e che tutto deve essere gestito col meccanismo degli appalti al massimo ribasso». «Se così fosse», continua Santuari, «non solo sarebbe un disastro, ma sarebbe anche la negazione di tutta la normativa che regolamenta i rapporti con le Pubbliche amministrazioni, a partire dalla 328». Nel dettaglio il professore è entrato in un articolo pubblicato su personaedanno.it., i cui passaggi riprende in questa intervista.
Professore dove sta l’inganno?
Il comma 6 dell’art.4 in parola stabilisce che, a far data dal 1° gennaio 2013, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 dovranno acquisire servizi a titolo oneroso da enti di diritto privato (associazioni e fondazioni), ad esclusione delle fondazioni di ricerca, solo attraverso procedure di gara improntate, secondo la normativa nazionale e i principi comunitari, alla più ampia concorrenzialità, tale da assicurare le migliori condizioni economiche per la stazione appaltante. Inoltre, gli enti privati che forniscono servizi alle PA, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle pubbliche finanze.
Quindi?
Si tratta di un comma affatto marginale nell’economia dell’azione e degli interventi delle organizzazioni non profit che, ancorché ad una primissima lettura, merita qualche approfondimento. Al riguardo, è utile prendere in esame i seguenti quattro aspetti.
Partiamo dal primo..
Per quanto riguarda i soggetti pubblici chiamati ad acquistare con procedure concorrenziali servizi a titolo oneroso dalle organizzazioni non profit, giova ricordare che per P.A. di cui all’articolo 1, comma 2, d. lgs. n. 165/2001 si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.
Comprese le cooperative sociali?
No. Il comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012 tratta delle associazioni e delle fondazioni disciplinate nel Libro I del Codice Civile del 1942. Debbono essere, dunque, escluse dalla previsione in commento le cooperative sociali, che, sotto il profilo giuridico, rientrano tra le imprese, disciplinate dalla l. n. 381/1991. È questo è il secondo aspetto.
Quali sono i servizi a titolo oneroso che le associazioni e le fondazioni erogano a favore della P.A.?
Considerando soltanto il comparto socio-sanitario, in cui radicata e significativa è la presenza delle organizzazioni non profit, si può pensare alla gestione di case per anziani, centri diurni, case di accoglienza, et similia, che operano sulla base di affidamenti, spesso diretti (“anche sulla base di una convenzione”), in ragione del fatto che risultano “accreditati”, sia in termini istituzionali ovvero informali presso gli enti pubblici ovvero perché rientrano negli elenchi dei soggetti idonei al convenzionamento, previsti in molte legislazioni regionali. Stiamo dunque riferendoci a quell’universo variegato di associazioni e fondazioni che caratterizzano gli interventi di welfare, soprattutto a livello territoriale e che la legge 328/2000 e il d.p.c.m. 30 marzo 2001 hanno inteso individuare quali partners privilegiati delle pubbliche amministrazioni.
Infine l’ultimo nodo…
Cosa aveva in mente il legislatore quando ha redatto questa norma? A quali fattispecie può applicarsi una simile previsione? Si può forse pensare a quelle organizzazioni non profit che “offrono” i loro servizi ai comuni e agli altri enti pubblici, slegati da un affidamento di servizio, ma semplicemente quale azione sussidiaria sul territorio nel settore, per esempio, dell’aggregazione giovanile? Se così fosse, non si tratterebbe, come è chiaro, di servizi “offerti alla P.A.” in quanto “cliente” del servizio, ma alla P.A. quale ente collettivo di rappresentanza dei cittadini, il cui compito istituzionale è quello di assicurare la coesione sociale ovvero una rete di servizi a favore delle persone più fragili. Presumiamo che il testo normativo faccia dunque riferimento a tutte quelle associazioni e fondazioni che, in ragione di propri progetti, finanziati da fondazioni casse di risparmio, da fondi europei, da donazioni private, da imprenditori o altra fonte di entrata, “offrono” alla P.A. i propri interventi e le proprie progettualità. Il comma 6 dispone che a queste organizzazioni non possono essere erogati finanziamenti pubblici. Si tratterebbe, al di là delle legittime valutazioni di carattere economico-finanziario, di una palese contraddizione (rectius: violazione) dell’art. 118, ultima comma della Costituzione che recita: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.” E non può revocarsi in dubbio che il sostegno economico-finanziario, finalizzato proprio a sostenere e valorizzare l’azione delle organizzazioni non profit, sia da ricomprendere tra il favor legis di cui all’art. 118, u.c. Cost.Ma per un momento proviamo a sospendere questa interpretazione e proviamo a comprendere quale altro significato potremmo dare alla locuzione “offrono servizi gratuiti alla P.A.”. A quale realtà corrisponde una simile disposizione? Esistono enti non profit che erogano servizi a titolo gratuito a favore delle P.A., specie territoriali? Nemmeno le organizzazioni di volontariato, paradigma espressivo dell’aggregazione civile senza scopo di lucro, si sostengono senza un intervento, benché minimo, degli enti pubblici. Ne consegue che ci dobbiamo attendere una qualche spiegazione.
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