Sostenibilità

Il tonno rosso alla guerra del sushi

La partita sullo stop al commercio vale 5 miliardi

di Silvano Rubino

I giapponesi ne vanno ghiotti, ma l’ipersfruttamento sta mettendo a rischio la sua sopravvivenza. Almeno così la pensano gli ambientalisti. I pescatori, invece… La battaglia finale della guerra del sushi si giocherà a Doha, dal 13 al 25 marzo. Lì si deciderà se il tonno rosso è ancora una specie commerciabile oppure, preso atto dei rischi per la sua sopravvivenza, si dirà stop. Nella capitale del Qatar, infatti, è fissato l’incontro della Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, chiamata a dirimere l’annosa questione. Nel frattempo, il “partito” dell’azione drastica per salvare il tonno rosso ha fatto un altro acquisto di peso: l’Unione Europea. Il 22 febbraio scorso la Commissione si è detta favorevole all’inclusione della specie in quelle più a rischio, dopo mesi di discussione. Una grande vittoria per gli ambientalisti, che da anni lanciano l’allarme sulla situazione di questo pesce. Una sconfitta per l’economia che gli gira attorno: circa 5 miliardi all’anno, secondo le stime del WWF.
Il problema, secondo gli ambientalisti (ma anche per il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo), è che non ponendo un freno oggi, si rischierebbe domani di non avere più nemmeno un euro di quell’economia: «Il pericolo che corre oggi il tonno rosso», spiega Massimiliano Rocco, responsabile del progetto Specie del WWF Italia, «non è l’estinzione in natura, ma l’estinzione commerciale. Lo stop alla commercializzazione sarebbe anche un modo per salvare un’attività di pesca tradizionale e industriale di notevole importanza economica e culturale».
Perché, è bene chiarirlo, nessuno vuole tutelare il tonno rosso come il panda o la tigre. Bensì porre un freno allo sfruttamento intensivo e industrializzato a cui si è assistito in questi ultimi anni, soprattutto per la grande passione del Giappone per questo pesce, ideale per sushi e sashimi. Le esportazioni verso il Sol Levante costituiscono circa l’80% del volume delle catture nel Mediterraneo, con buona pace dei fautori del chilometro zero. L’Iccat, la Commissione internazionale che si occupa proprio della sua conservazione, ha fissato quote di prelievo sempre più restrittive, ma non abbastanza, secondo gli ambientalisti: «Tutti gli studi dimostrano che è una specie in sofferenza, che gli stock sono crollati. L’Iccat non ha saputo controllare e gestire questa situazione», sostiene Rocco. Il report preparato dal Principato di Monaco, il primo Stato a farsi portatore dello stop alla Cites, parla di un crollo, in 50 anni (tra 1957 e 2007), del 74% della presenza di tonno rosso nel Mediterraneo.
Nella partita è coinvolta anche l’Italia. Sebbene sul mercato interno ne arrivi una quota irrisoria (quello in scatola che consumiamo è il “pinna gialla” e arriva in gran parte dall’Oceano), il tonno rosso è un bel business anche da noi. L’export vale 100 milioni e muove un settore economico che ora teme la scure della Cites. A farsi portavoce di questo timore Federpesca-Confcooperative, che rappresenta la maggioranza delle realtà attive in questo settore, con circa 2mila addetti, concentrati soprattutto in Sicilia e Campania, 49 imbarcazioni che praticano la pesca a circuizione. Che è poi quella più contestata dagli ambientalisti, visto che prevede la cattura in grosse gabbie e, per gli esemplari più piccoli, l’ingrasso sino al raggiungimento di un peso allettante per il commercio. Federcoopesca contesta i presupposti scientifici del partito dello stop: «Non ci sono riscontri ai numeri che vengono divulgati», spiega il direttore Gilberto Ferrari, «nelle relazioni Iccat, non si è mai accennato a un tracollo delle dimensioni. È sbagliato andare verso una sicura chiusura di imprese a fronte di una ancora non provata riduzione degli stock. Servirebbero dati scientifici più certi, ricerche pluriennali».
«Fanno il loro gioco», replica Rocco del WWF. «La verità è che anche la Fao ha lanciato l’allarme sul depauperamento delle risorse ittiche. E poi lo stop della Cites non significherà il blocco totale della pesca: si vieterà il commercio internazionale, ma le attività artigianali e quelle destinate ai mercati interni potranno continuare».

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