Welfare

Il testimone è senza scorta? La fa il deputato

Davide Mattiello, che arriva da Libera e ora è neoparlamentare Pd, accompagna a una conferenza su don Pino Puglisi, beato il 25 maggio, Giuseppe Carini, grazie al quale hanno un nome i killer del prete palermitano: "Basta discrezionalità, lo Stato garantisca la dignità di chi ha anteposto la giustizia alla vita privata"

di Daniele Biella

La storia ha quasi dell’incredibile: un testimone di giustizia di prim’ordine, Giuseppe Carini (grazie a lui sono stati trovati i killer di don Pino Puglisi, del quale era amico e collaboratore, e per questo Cosa nostra l’ha condannato a morte) nei giorni scorsi viene invitato da un ente pubblico, la provincia di Reggio Emilia, a un incontro proprio sulla figura di don Puglisi, a pochi giorni dalla beatificazione di domenica 25 maggio 2013. Accetta l’invito, scegliendo quindi di farsi vedere in pubblico, uscendo dall’anonimato di un nome e una vita nuova datagli dallo Stato in cambio delle sue dichiarazioni. “Ma quello stesso Stato si rifiuta di dargli la scorta, e lo fa arrivare a Reggio con mezzi propri. Come è possibile?”. A chiederlo non è un cittadino qualunque, ma Davide Mattiello, neodeputato del Pd che fino a poco tempo prima era responsabile nazionale di Libera, l’associazione voluta da don Ciotti per contrastare tutte le mafie, che ha all’attivo il programma ‘Salvagente’ per affiancare e tutelare i testimoni più esposti al rischio di ritorsioni. Mattiello ha fatto di più di una semplice domanda: si è presentato personalmente come ‘scorta civile’ al testimone, accompagnandolo prima e dopo l’incontro in cui il Carini ha preso la parola, per un momento di testimonianza molto seguito e applaudito. Vita.it l’ha raggiunto.

Perché un deputato sceglie di affiancare un testimone di giustizia lasciato senza scorta?
Perché non si può far finta di niente di fronte all’angosciante precarietà in cui vivono coloro che hanno sacrificato la propria esistenza alla giustizia, raccontando cose scomode alle mafie e per questo minacciati di morte per sempre. Stiamo parlano di 68 persone in tutto, non di migliaia: per loro, supertestimoni, le tutele dovrebbero essere le più alte possibili, e invece accade un fatto come quello di Reggio Emilia, assurdo ancora di più perché ha lasciato la propria dimora segreta non per farsi un giro alle cure termali, ma in quanto è stato invitato da un ente pubblico come personaggio centrale dell’evento in memoria di don Puglisi. Com’è possibile che non abbia avuto la scorta?

Già, come è possibile?
Questa la ricostruzione della vicenda: ricevuto l’invito dalla Provincia di Reggio Emilia, Carini accetta di andare e prende carta e penna scrivendo a chi di dovere la lettera formale di richiesta della scorta. La risposta è stata laconica: ‘se vuole andarci, lo faccia con mezzi propri’. E ancora: ‘la prefettura della città valuterà autonomamente se e come darle la scorta in città’, decidendo poi per posizionare uomini in borghese nella struttura. E così è stato. Un palese controsenso, insomma: tu, Stato, cambi identità a una persona, gli fai iniziare una nuova vita, poi lo lasci senza scorta per partecipare a un incontro istituzionale? Chiunque avrebbe potuto vedere la sua macchina, la targa, e risalire alla provenienza, per esempio. È chiaro che in quel momento non correva pericolo immediato, ma si sa che le vendette avvengono con tempi molto lenti e incerti. Attenzione, però: il problema non sta nella scorta data o tolta, è molto più ampio e riguarda la condizione generale dei testimoni di giustizia.

Qual è il problema principale?
Che lo Stato abbia scarsità di fondi per le scorte è un fatto problematico, certo. Però la questione centrale, che rende la vita dei testimoni di giustizia un calvario, è la discrezionalità delle decisioni: il girono prima sei tutelato al 100%, il giorno dopo ti ritrovi da solo. Senza niente di scritto che ne spieghi i motivi fondanti. Bisogna trattare con dignità queste persone, per non farli vivere in una ingiusta angoscia, proprio loro che hanno deciso di anteporre la verità e la giustizia alla propria vita personale. È vero che una volta diventato testimone puoi rifarti una vita e ti vengono dati dei soldi per ripartire: ma senza un accompagnamento successivo il rischio di non farcela è alto, molti hanno famiglia, alcuni erano imprenditori, avevano una rete sociale…dei tanti che conosco, solo il 10% non ha alcun problema di precarietà lavorativa o esistenziale.

Come tutelare di più i testimoni di giustizia?
Non è una questione di scorta o meno: quello che serve è un accompagnamento effettivo nell'inserimento lavorativo, oltre a regole più chiare per la tutela che riguardino tutte le possibili soluzioni da adottare per situazione come quella di Reggio Emilia. Non sono azioni impossibili, basta studiarle, per dare così un segno di una maggiore umanità verso persone che per lo Stato hanno un valore immenso.


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