Alzheimer

Il Terzo settore striglia la politica: «Sulle rette per le Rsa è il caos, si metta mano alle normative»

Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che raggruppa 60 organizzazioni tra Terzo settore, associazionismo, società scientifiche e rappresentanze sindacali, denuncia l'assenza di un quadro legislativo coerente, in assenza del quale «crescono i ricorsi di familiari di anziani presso i tribunali»

di Redazione

Le residenze per anziani non autosufficienti si trovano schiacciate fra l’indecisione della politica e le rivendicazioni dei cittadini, in merito alle rette. Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che raggruppa 60 organizzazioni tra Terzo settore, associazionismo, società scientifiche e rappresentanze sindacali, denuncia una situazione ormai non più sostenibile. «In assenza di un quadro legislativo coerente, infatti, crescono i ricorsi di familiari di anziani presso i tribunali», sottolinea il Patto in una nota diffusa oggi. «Le scelte compiute dalla magistratura assumono così un ruolo di sostituzione della politica sempre maggiore».

La confusione, spiega la nota dell’organizzazione (di cui fa parte l’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale – Uneba), è figlia principalmente di tre elementi. «La normativa prevede che i costi delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) a titolarità pubblica siano divisi a metà tra il Servizio sanitario e gli utenti (o i familiari); oggi questi ultimi pagano mediamente 1.500-2.000 euro al mese. Le indicazioni legislative, però, sono poco chiare e incomplete e non vengono applicate uniformemente. Alcune recenti sentenze di tribunali indicano che le Rsa debbano essere totalmente gratuite, senza alcun contributo degli utenti (o dei familiari). Altre recenti sentenze affermano l’esatto contrario, cioè che gli utenti (o i familiari) debbano contribuire ai costi nella misura indicata dalla normativa e secondo il loro reddito. È da tempo che la normativa dovrebbe essere rivista ma il legislatore non vi ha messo mano. E così gli spazi lasciati vuoti dalla politica vengono riempiti dalle sentenze della magistratura».

«Nelle ultime settimane, il Parlamento è tornato ad occuparsi del tema al fine di fare chiarezza», prosegue la nota. «La discussione avviata presso la commissione Affari sociali del Senato, tuttavia, non ha purtroppo prodotto alcun esito. Risultato: saranno ancora i ricorsi dei familiari e le sentenze della magistratura a decidere. Venendo all’ipotesi di abolire le rette per le sole persone affette da Alzheimer, notevoli sarebbero le iniquità prodotte. Da una parte, tra la popolazione di anziani non autosufficienti pure portatori di gravi patologie, con le persone affette da Alzheimer (40% dei residenti nelle strutture) esentate e gli altri no. Dall’altra, una gratuità totale delle rette sarebbe iniqua con riferimento a coloro che hanno disponibilità economiche tali da potersele permettere. Inoltre, quello che, in linea teorica, pare un intervento a favore Alzheimer, nei fatti si rivela essere il contrario. La possibilità di sentenze che azzerino le rette, infatti, produce disincentivi per le strutture a prendere in carico l’utenza Alzheimer per non essere esposte ai ricorsi e ai conseguenti deficit di bilancio: paradossalmente provocherebbe una diminuzione di posti effettivi e quindi un aumento delle liste di attesa. Infine, vi sarebbero pesanti conseguenze negative per gli attori locali: le Regioni, chiamate dalla magistratura a incrementare il finanziamento del fondo sanitario regionale senza essere state dotate dallo Stato delle risorse necessarie. Gli enti gestori, che devono abitualmente rimborsare in prima battute le famiglie, in caso sentenza a queste favorevole, e successivamente avviare una procedura complessa e incerta per recuperare le risorse dalle Regioni».

«La situazione attuale non è sostenibile. Serve, con urgenza, un intervento normativo per dare certezze e superare l’attuale caos che si riverbera negativamente su tutti i soggetti interessati. Un intervento che, non metta in discussione diritti acquisiti, non costringa a inutili costi per contenziosi e vada nella direzione della sostanziale sostenibilità per i cittadini e per gli enti pubblici, privati e del Terzo settore che gestiscono i servizi. Occorre contemporaneamente un intervento di più ampio respiro, che affronti la decisiva questione di come suddividere i costi della non autosufficienza tra attore pubblico, individui e famiglie. Questo intervento non potrebbe che collocarsi nel percorso avviato con la recente riforma del settore (L.33/2023), che procede però a rilento. Serve, dunque, riprendere con vigore il percorso della riforma in maniera partecipata e aperta al contributo e alla collaborazione di tutti i soggetti interessati».

Foto di sara ghasemi su Unsplash

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