Politica
Il Terzo settore si deve porre il tema della politica e del ruolo attivo dei suoi attori sulla scena pubblica
L'appello di Giuliano Amato affinché il Terzo settore assuma tra le proprie responsabilità anche quella di concorrere alla provvista di personale politico per la nostra democrazia merita di non essere lasciato cadere. I soggetti sociali devono assumersi la responsabilità di proporre “buone idee” per la vita comune e farsi carico che qualcuno le porti avanti, ricercando le necessarie mediazioni perché possano essere accolte
L’appello di Giuliano Amato al terzo settore affinché il Terzo settore assuma tra le proprie responsabilità anche quella di concorrere alla provvista di personale politico per la nostra democrazia merita di non essere lasciato cadere, e non soltanto per l’autorevolezza del proponente.
La situazione in cui si trova la nostra vita repubblicana, ormai orfana di un sistema partitico in grado di formare la classe dirigente politica, induce a superare i rischi che la prospettiva indicata da Amato pure apre: oltre a quello da lui stesso indicato (il rischio di essere strumentalizzati dai partiti esistenti) ve n’è almeno un altro, vale a dire quello di compromettere in certa misura la purezza della motivazione per chi si impegna nel terzo settore, rischiando di trasformare l’impegno in questo in un trampolino di lancio verso avventure politiche. Ma sono rischi, lo si ripete, che l’importanza della posta in gioco per la nostra democrazia può indurre a correre: anche se si affronta il tema anche da un diverso punto di vista. Che riguarda il ruolo del terzo settore.
Non vi è dubbio che, nella storia che abbiamo conosciuto, il terzo settore (ed in esso, in modo specifico, il volontariato) ha avuto l’innegabile merito di offrire risposta ai diritti delle persone, e di quelle più deboli in particolare: diritti cui le istituzioni pubbliche non sono state in grado di garantire tutela (e le vicende connesse all’emergenza Covid-19 lo hanno confermato, purtroppo). Tutti possiamo facilmente constatare come .il terzo settore abbia costantemente costituito, nella storia italiana, un riferimento per la cura delle persone, per la realizzazione di un’uguaglianza sostanziale non soltanto predicata ma praticata, per alimentare una cultura dei doveri di solidarietà non separata da quella dei diritti che a ciascuno devono essere garantiti. Qualche anno fa l’Agenzia per il terzo settore curò, in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, un volume su questa storia, la cui lettura aiuta a comprenderne le radici profonde e sostanzialmente uniche nel panorama europeo[1].
Proprio questa storia ci aiuta peraltro a comprendere come quanto si è fatto sin qui e si continua a fare oggi forse non può bastare per il futuro.
I contributi raccolti in un piccolo volume da poco uscito, e dedicato a prendere in esame la nozione di volontariato ora proposta dal Codice del terzo settore[2], fanno comprendere come occorra un deciso cambio di passo. Lo ha scritto in modo netto mons. Antonio Cecconi, quando ha avvertito che “ci vuole un volontariato che alzi la testa, che sappia andare oltre la cerchia dei propri “assistiti”, che scelga di interrogarsi e interrogare sul dove sta andando la società”. Concetto fatto proprio anche da Maurizio Ambrosini, il quale, riprendendo la prospettiva lanciata da Putnam, auspica che “il volontariato costituisca una modalità fondamentale di partecipazione civica, della costruzione del capitale sociale che rende una società più coesa, democratica, capace di prendersi cura dei bisogni e delle fragilità che emergono al suo interno”: ragione per cui, come ancora sottolinea Ambrosini, il volontariato deve sforzarsi di essere anticipatore di un modello di società più accogliente e fraterna. Erogare prestazioni è esercizio di fondamentale utilità, anche quando queste servono a riparare danni provocati dalla natura o da altri fattori: ma non si può negare che meglio sarebbe per tutti – e per chi ne è vittima in particolare – se quei danni non si producessero, o se perlomeno se si potessero limitare le conseguenze negative. In molte occasioni si è parlato di un ruolo “politico” del volontariato, e autorevoli studiosi hanno parlato di una funzione di advocacy: ancora estremamente attuali sono le riflessioni di Achille Ardigò sul punto.
Per questo è necessario che il terzo settore si ponga il tema della politica, e di un ruolo attivo dei suoi attori sulla scena pubblica dove si assumono le decisioni che riguardano la collettività: e dove, pertanto, si può operare per prevenire quelle situazioni che il terzo settore ben conosce, curandole.
In tal senso vanno anche le considerazioni recentemente e lucidamente indicate da Papa Francesco[3], il quale ha ammonito che “non basta puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici” in quanto “benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare”. Ed allora è necessaria, rileva ancora Papa Francesco, “una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale”. Una trasformazione, dunque che non può non riguardare anche il ruolo degli enti del terzo settore nelle società contemporanee.
Adottando – condividendola – questa prospettiva, il discorso dovrebbe essere condotto su due piani. Da un lato, operare affinché il terzo settore, nelle sue diverse componenti, assuma la responsabilità indicata, che implica capacità di elaborare soluzioni politiche ai problemi che affronta: proposte che siano non solo coerenti ma anche compatibili e realizzabili, e che tengano conto, come dovrebbe essere proprio dell’arena politica, del quadro complessivo di riferimento. Non è sufficiente infatti avere delle buone idee perché queste possano essere recepite in sede istituzionale: occorre che esse siano accettabili dalla società e tengano conto dell’interesse generale. La co-programmazione, introdotta dal Codice del terzo settore, può rappresentare una buona palestra anche per questo.
In secondo luogo – ed è il senso di quanto si va dicendo – è necessario che queste “buone idee” non vengano semplicemente lanciate e proposte: occorre che qualcuno si faccia carico di portarle avanti, ricercando le necessarie mediazioni perché possano essere accolte. Ed un personale politico che provenga da quel mondo, e che in esso sia stato formato al perseguimento dell’interesse generale, potrebbe essere maggiormente adeguato ad ottenere il risultato.
Anche guardando le cose da questo angolo visuale, dunque, credo che sia davvero giunto il momento perché il terzo settore si ponga il tema della provvista di personale politico per la nostra Repubblica.
*Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – Centro di Ricerca Maria Eletta Martini
[1] E. Rossi – S. Zamagni (a cura di), Il Terzo settore nell’Italia unita, il Mulino, Bologna, 2011.
[2] E. Rossi – L. Gori (cur.), Ridefinire il volontariato, Pisa University Press, Pisa, 2020
[3] Videomessaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’incontro “The Economy of Francesco – I giovani, un patto, il futuro”, 19-21 novembre 2020, in www.vatican.va
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