Questa settimana pubblichiamo la lettera di Franco Milone, un attore-detenuto della compagnia teatrale di san Vittore, La Nave dei Folli, che il 26 giugno prossimo presenterà lo spettacolo ?La Parata della nave dei folli?.
Negli ultimi anni il teatro in carcere ha superato la dimensione strettamente terapeutica e ha coniugato solidarietà e cultura, facendo diventare i detenuti-teatranti cittadini di diritto del giardino dell?arte contemporanea.
Il prossimo ottobre lo spettacolo verrà infatti presentato al Teatro Studio di Milano, in occasione del III° Convegno europeo sulle esperienze teatrali in carcere. La lettera fa parte di una raccolta di testimonianze dal carcere milanese ?Dentro san Vittore? pubblicata recentemente dal Rotary club di MIlano.
Uno si sveglia al mattino e si ritrova in carcere, pensando che la sua vita sia finita, con le sbarre alle finestre, porte blindate e muri di cemento e puoi decidere cosa fare: magari del teatro. È nata così la mia passione.
Un sogno divenuto realtà attraverso il lavoro della Nave dei Folli, un viaggio metaforico sul mare della nostra navigazione, con testi scritti dal gruppo e brani tratti dagli autori.
Donatella Massimilla (la regista, ndr) e il suo gruppo dicono di noi: «Attraverso il teatro, esiste una possibilità di autorappresentazione senza cedere a commiserazioni, cercando un?alta qualità della comunicazione». Il teatro all?interno del carcere ha permesso a me e a altri di trovare un equilibrio interiore, imparando a riprendere la mente e il corpo; di ricostruire delle relazioni e facendomi sentire, paradossalmente, un privilegiato. Si deve credere alla cultura del teatro, a quanti detenuti nel mondo potrebbe servire lo studio, l?applicazione, la responsabilità di una rappresentazione per non far ritorno all?inferno.
Claudio Meldonesi ha scritto che il teatro: «Vuol dire dare luogo alla vista, delle visioni mirabili, e la vista è il senso primo dell?uomo. Resta addosso a chi lo fa ed è luogo di fuga dal carcere, restando in carcere».
Io credo che sia anche un continuo confronto, un approfondimento dell?io, cercare l?uomo distratto che è andato verso una vita diversa, inutile: il teatro è gioia, una forza che ti porta a essere ed esistere, ti aiuta a comunicare l?angoscia, la paura, la rabbia, la violenza e l?amore represso che ti porti dentro.
Perciò il bisogno del teatro in carcere è forte, importante e utile: lo si deve sostenere in tutti i modi Altrettanto forte è, però, la necessità di una formazione culturale, il diritto alla cultura non si deve negare a nessuno. Oscar Wilde disse: «Molti uomini, portano con sé il loro carcere e alla fine, povere creature avvelenate, strisciano in qualche tana a morire». Il teatro in carcere è potenzialità della mente, può ottenere risultati incredibili; ci si deve credere perché può abbattere paure e indifferenze.
Ho ancora nella mia mente e nel cuore uno dei temi fatti a scuola da mio figlio, dieci anni, ?Racconta una giornata con il tuo papà?. Egli scrisse: «Ho visto il mio papà fare l?attore e devo dire che mi ha fatto ridere e quel giorno ero felice». Mi aveva visto recitare all?interno del carcere con la Nave dei Folli.
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