Disagio psichico
Supporto fra pari: una nuova strada per aiutare i malati psichiatrici
Quella degli esperti per esperienza che supportano altre persone con disagio psichico è una figura professionale riconosciuta in diversi Paesi del mondo. In Italia questo profilo non ha ancora una definizione univoca ed è distribuito a macchia di leopardo nelle varie Regioni. A maggio è nata un'associazione per promuoverne riconoscimento e definizione a livello nazionale
«Ci sono state situazioni in cui sia gli utenti, sia i familiari mi hanno chiamato, anche disperati, perché non riuscivano a trovare delle soluzioni coi servizi; mi è capitato anche di andare a Napoli o a Bari, per parlare con i medici referenti per quelle persone, per facilitare la comunicazione e per trovare convergenze». A parlare è Eros Cosatto, consigliere e tesoriere della neonata Associazione italiana persone esperte in supporto tra pari – Aipesp, che intende promuovere questo profilo professionale, a oggi non riconosciuto – o riconosciuto a macchia di leopardo nelle varie Regioni e nei diversi dipartimenti – in Italia. Cosatto sta bene da 15 anni, non prende più farmaci, lavora e svolge questa mansione a titolo volontario, anche per dimostrare, con la sua esperienza, che guarire si può. «Noi siamo testimoni che star bene è possibile», dice, «così come uscire da una crisi e intraprendere percorsi di autodeterminazione».
La figura della persona esperta in supporto tra pari può svolgere moltissimi ruoli, oltre a infondere fiducia in un processo di recovery: mediare con gli operatori, fare advocacy, facilitare l’accettazione delle cure, informare gli utenti e i familiari sui loro diritti e aiutarli nella comprensione del consenso informato, per esempio. Un profilo prezioso, quindi, in un ambito delicato come quello della salute mentale. Che però non è ancora adeguatamente riconosciuto e inquadrato, almeno nel nostro Paese. «Ci sono persone e realtà che già lo fanno da tanti anni, in Lombardia, in Emilia-Romagna o a Trieste, per esempio, mai in altri luoghi questa figura non c’è», racconta il consigliere, «così nel 2020 è partito un movimento nazionale per cercare di dare un ordine a tutto questo; è stato fatto anche un convegno online di tre giorni nel 2021, in cui si è stilata la prima Carta nazionale degli esperti in supporto tra pari in salute mentale. Erano intervenute 43 realtà, tra servizi, associazioni e privato sociale». Nel 2022, a seguito di un secondo convegno – questa volta in presenza – è stato fatto un tentativo di presentare la Carta al ministero della Salute, che tuttavia non ha avuto seguito. «Abbiano pensato che per dare un’identità riconosciuta in tutta Italia a questa figura forse la cosa più facile era far nascere un’associazione professionale», racconta Cosatto. «Quest’anno a Bologna a maggio ci siamo incontrati – eravamo in 53, tra cui anche alcuni operatori che dall’ inizio hanno promosso e sostenuto questo movimento».
Al momento, la persona esperta in supporto tra pari – o il peer specialist, com’è chiamato nei Paesi anglosassoni, dove questa figura gode di un maggiore riconoscimento, viene pagata solo in alcuni casi specifici, per esempio quando si trova all’interno di una realtà del privato sociale, che ha una convenzione con l’azienda sanitaria. «Gli esperti fortunati che hanno una paga degna sono purtroppo la minoranza», commenta il tesoriere. «Spesso sono inseriti in borsa lavoro, con paghe orarie molto basse o svolgono attività di volontariato. In altri luoghi è una professione riconosciuta: so che in Francia c’è anche un corso di laurea breve con assunzione diretta nella sanità pubblica. In Italia siamo un po’ indietro, c’è ancora molto da fare, stiamo rincorrendo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che stanno promuovendo questa figura».
L’esperto in supporto tra pari, secondo la carta elaborata dalle realtà che se ne occupano, deve avere alcune caratteristiche: aver vissuto direttamente o come familiare un disagio psichico, essere in un percorso di recovery, aver sviluppato sapere e consapevolezza e capacità di offrirle agli altri, aver condiviso, anche in gruppo, la sua esperienza ed essere riconosciuto dall’organizzazione in cui opera e dal sistema complessivo della salute mentale in qualità di professionista esperto per esperienza. «Questa figura dovrebbe essere considerata alla pari rispetto agli altri operatori», conclude Cosatto, «entrare nelle equipe e portare le sue capacità ed esperienze, anche per aiutare a sviluppare dei percorsi individualizzati per gli utenti».
Foto in apertura da Unsplash
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