Famiglia

Il suo cuore non lo scordo mai

Francesco, 18 anni e tanta voglia di vivere, muore in un incidente stradale. Il giorno prima è stato autorizzato in Italia il trapianto.

di Redazione

Chi crede che nessuna vita sia isolata dalle altre vede l’esistenza umana come un intreccio di strade dove ogni persona attraversa il percorso di altri. Francesco Busnello voleva incrociare più strade possibili, condividere pezzi di tragitto, scambiarsi mappe: aveva nella sua indole la condivisione del percorso. «Mia moglie mi ricorda spesso che quando Francesco andava alle elementari chiedeva un aquilone tutte le mattine e poi regolarmente lo regalava ad un suo compagno di classe, finché tutti i compagni non finirono con l’avere l’aquilone», racconta suo padre Gianni, rigirandosi la fede nuziale al dito. Per Francesco il destino aveva tracciato una via imperscrutabile: sarebbe stato il primo italiano a donare il cuore per un trapianto.
Come si può raccontare la morte di un ragazzo di 18 anni? In una piccola stanza di una parrocchia di Treviso, Gianni fa un viaggio nella memoria indietro di 15 anni, un viaggio che nella sua intimità probabilmente ripete spesso. Suo figlio era il rappresentante degli studenti dell’istituto tecnico dove frequentava l’ultimo anno; un pomeriggio ritornava in Vespa da un’assemblea studentesca, uno scontro con un’auto lo rovesciò sulla strada. Passò cinque interminabili giorni in coma. «Quando i medici della rianimazione mi hanno telefonato per dire che era bene che mi recassi lì, io, drammaticamente, ho rivisto davanti agli occhi il titolo del giornale di quella mattina. Lo vedo ancora, diceva: “Trapianti di cuore: ora si può!”», racconta Gianni, e le parole sembrano uscire dal suo sguardo azzurro e asciutto. C’è una dignità statuaria in quest’uomo, ex sindacalista e impegnato nella formazione per adulti che ha fatto volontariato fin da ragazzo, e che oggi, con il suo bagaglio di vita, guida un’associazione dedicata all’aiuto alle famiglie. «Immaginavo che potessero chiederci l’autorizzazione al prelievo», continua,«Era il giorno in cui il ministro della Sanità aveva emanato il decreto sull’autorizzazione del trapianto di cuore in Italia». E in quel giorno Francesco morì. «I medici ci parlarono a lungo: per mio figlio non c’era più nulla da fare. Aggiunsero che era il momento di decidere se donare il suo cuore». Era il 1985, Gianni Busnello e sua moglie, addolorati, si trovarono soli davanti ad una strada sconosciuta. «Credo che l’informazione medica sia determinante perché è stata solo la certezza che non c’era più speranza di salvare nostro figlio a farci dare il consenso».
La diffidenza sembra sia il sentimento che tira dall’altro capo della corda contro la donazione, una reticenza che Gianni ha analizzato a fondo: «Rendersi disponibile alla donazione è un gesto di enorme fiducia nelle istituzioni e nella struttura sanitaria. Non possiamo trascurare che l’esperienza concreta che le persone fanno degli ospedali e del rapporto con i medici non incoraggia alla fiducia». Ma ci sono anche altri fattori. «Se non c’è una sensibilizzazione sul tema diventa difficile anche solo ragionarci. Se ci si deve fare un’opinione in quel momento e prendere una decisone al posto di un parente tutto si complica e la risposta può essere più facilmente un rifiuto perché la responsabilità è uno degli aspetti più difficili da affrontare». Una responsabilità che la madre e il padre di Francesco hanno accettato: «Ci siamo chiesti che cosa avrebbe fatto nostro figlio».
Il cuore di Francesco riprese a battere nel torace di un falegname di 38 anni. «Abbiamo conosciuto Ilario Lazzari. In un primo momento ci aspettavamo che qualcosa di Francesco si manifestasse in lui», confessa Gianni, «ma ci siamo resi conto che non poteva essere così. Ilario diceva che Francesco era diventato un altro membro della loro famiglia. Oggi, con il senno di poi, credo che non sia opportuno mettere in contatto i familiari del donatore con il ricevente perché può generare una certa forma di sudditanza o delle aspettative irrealizzabili». Devono aver rischiato di crollare i Busnello quando, otto anni dopo il trapianto, Ilario Lazzari morì di Aids per una trasfusione di sangue infetto, ma non si sono mai pentiti di aver dato l’autorizzazione. «Per me la donazione è una scelta consapevole di solidarietà sociale», conclude papà Gianni, «I media , forse per impreparazione, ne parlano facendo leva sul buonismo oppure davanti ai rifiuti qualcuno punta il dito sulla “fiera degli egoismi”».
Al momento dell’incidente Francesco guidava senza casco che allora non era obbligatorio. Sulla spinta dell’emozione si cominciò a discuternee e, un anno dopo, venne varata la legge sul casco obbligatorio per le 125cc, un provvedimento che ha salvato migliaia di vite. Se l’esistenza umana è un reticolo di percorsi, alcune vite (ed anche alcune morti) indicano la strada.

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