Formazione

Il Sudafrica lancia un j’accuse

Lo ha fatto Sean De Cleff, davanti a tanti interlocutori del vecchio continente."Le ong propongono soluzioni impraticabili. Le aziende mostrano un’arretratezza culturale"

di Matteo Manzonetto

La conferenza organizzata da Csr Europe per il suo decennale non è stata soltanto l?occasione per presentare la Road Map della maggiore organizzazione continentale per la responsabilità sociale d?impresa. Si è trattato soprattutto di un incontro tra chi intende costruire un?imprenditoria che sia fattore di sviluppo sostenibile con il territorio su cui opera.
Molto stimolante è stata la tavola rotonda che ha visto gli interventi dei responsabili Csr di Sud Africa, Stati Uniti e Giappone, per un confronto sulle buone pratiche e le sfide future della responsabilità d?azienda nelle varie parti del mondo. Se per Usa e Giappone la situazione in termini di difficoltà e successi può grosso modo ricalcare quella europea, per l?Africa il lavoro da fare è estremamente lungo e complesso.
Sean De Cleff, dell?African Institute for Corporate Citizenship, ha illustrato senza troppe parafrasi la situazione estremamente complicata che ci si trova a fronteggiare nell?applicazione dei principi della csr nel continente africano. Guerre, carestie, crisi umanitarie, Aids sono problemi le cui ricadute coinvolgono direttamente le aziende che operano in Africa. «La difficoltà maggiore», afferma De Cleff, «sta nel riuscire a formare partnership efficaci tra i tre attori coinvolti nell?attuazione della csr. La mancanza di accordo tra aziende, governi e società civile produce una situazione di stallo in cui ci si accusa l?un altro di fare troppo i propri interessi».
«Le ong«, secondo De Cleff, «rinnegano l?ottica imprenditoriale, proponendo alle aziende soluzioni impraticabili dal punto di vista economico: anche grandi organizzazioni come Oxfam sono ipercritiche nei confronti delle multinazionali, ma mancano da parte loro proposte percorribili. Se non cercano l?incontro sarà difficile che le cose cambino».
Da parte delle imprese, De Cleff rileva invece una mancanza di strategie mirate a risolvere il problema della povertà: «Le banche per prime non forniscono gli strumenti necessari allo sviluppo, come il microcredito». De Cleff individua soprattutto a livello di leadership delle imprese un vuoto culturale riguardo alla csr. A questo va aggiunto il loro timore di fronte alla problematicità estrema della questione africana: le aziende chiudono gli occhi di fronte a situazioni drammatiche e preferiscono aggirare le difficoltà invece che risolverle, anche per paura degli enormi costi che ciò potrebbe comportare.
Problemi enormi rimangono soprattutto a livello di forniture di materie prime: i ?diamanti insanguinati? sono solo la punta di un iceberg che comprende ogni tipo di materia prima proveniente dall?Africa, dal legname al coltan contenuto nei nostri cellulari. Qualche spiraglio di miglioramento viene visto sul fronte del ?digital divide?, anche se «siamo solo all?inizio».
Ma la csr trova anche nel tessuto locale italiano ostacoli non di poco conto: la realtà delle piccole e medie imprese nasconde molto spesso situazioni incompatibili con la responsabilità sociale d?impresa. La conduzione ?familiare? delle micro-aziende è molto spesso la maschera usata per calpestare diritti quali la sicurezza sul lavoro o la regolarità dei contratti. Una situazione che contrasta con quanto espresso da Federico Falck, che sostiene che molte piccole e medie imprese praticano la csr ?senza saperlo?, ma che manca la coscienza e il coordinamento affinché queste pratiche diventino comuni all?imprenditorialità tipica del nostro territorio.
Matteo Manzonetto, da Bruxelles

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