Formazione

Il soccorso a due velocità. Viaggio nei paesi del terremoto molisano

Due centri a pochi chilometri l’uno dall’altro e due volti dell’emergenza. Da una parte, San Giuliano e dall'altro S. Croce.

di Ettore Colombo

San Giuliano, soffocati d?aiuti “Se chiudi il taccuino, ti dico cosa penso”. Cosa pensa, don Ulisse?. «Che San Giuliano scoppia». Di case devastate, inagibili, pronte a essere abbattute (almeno l?80-90%, pare)? Di giornalisti? No. Di aiuti. Di donazioni, regali, versamenti. Di vettovaglie andate a male perché nessuno le mangia. Di indumenti inutili perché ci sono già (o perché la gente invia maglie e calzoncini corti, d?inverno). Di un fiume di milioni di euro che arriveranno a San Giuliano e nessuno saprà cosa farci. Sempre se esisterà davvero, domani, San Giuliano di Puglia, paesino molisano che oggi vuol dire terremoto in tutte le lingue del mondo. Eppure, don Ulisse Marinucci, trent?anni, originario di Termoli, «parroco mobile», come si autodefinisce, in quanto è dappertutto, da due settimane a questa parte, non ha nemmeno una parrocchia per dire messa (all?uopo viene liberata la mensa della tendopoli) e neppure una sacrestia per ricevere i parrocchiani, per confessarli. La vita, a San Giuliano, ha il colore blu delle tende montate dal battaglione San Marco, quello giallo delle Misericordie che le gestiscono e quello verde della valle intorno. Il resto, è solo confusione, cartellini ?fai da te? appiccicati al petto per indicare nome, grado, ruolo e competenze, giornalisti e cameramen appostati ovunque, volontari che ti guardano torvo, periti e tecnici che fanno sopralluoghi, rilievi, controlli. La comunità montana dell?Alta Irpinia, la regione Umbria, i volontari del Friuli. E quelli dell?Onu. Quello che non serve sono tutti questi aiuti e donazioni che arrivano e che stanno suscitando soltanto ire, gelosie e invidie dei paesi, delle province e delle regioni vicine. Intanto i sangiulianesi sono divisi. Alcuni sono andati a vivere fuori (300), altri si sono trasferiti nei residence di Campomarino (700), altri sono rimasti nella tendopoli (150). E qualcuno è pure riuscito a rientrare: «Vojo murì a la casa mea». S. Croce, dimenticati nel fango A Santa Croce di Magliano, 680 metri sul livello del mare e 5mila abitanti, non è morto nessuno. Ma i problemi non sono mancati. Solo che l?attenzione dei media, e del mondo intero, è tutta lì, dicono a Santa Croce, «e a noi c?hanno dimenticato». Il sindaco del paese, Giovanni Gianfelice, esasperato, ha perso la pazienza e, presa carta e penna, ha scritto al presidente della Repubblica, al Parlamento, perfino alla Rai per denunciare «una sorte sciagurata». Eppure, è il centro più grande della zona, dopo Larino . Il tour nella Santa Croce pericolante, baraccata e puntellata lo dobbiamo a Francesco Di Falco, 34 anni, avvocato, consigliere comunale: è lui che ci fa superare il divieto d?ingresso nel centro. Completamente transennato e svuotato di anima viva (eccetto un paio di simpatiche e testarde vecchine), Santa Croce sembra davvero morta. La torre del campanile della chiesa di San Giacomo le è caduta dentro, alla chiesa, distruggendo navate e altare. Non va meglio nel resto del paese dove negozi, bar, locali e trattorie sono tutti desolatamente chiusi. La vita, naturalmente, fuori dal centro continua. Oddio, bisogna intendersi. La palestra, appena costruita, è già bella che in pezzi, il liceo scientifico, talmente inagibile che pare ne arriverà uno nuovo di zecca dall?Umbria. Prefabbricato. «Viveri e indumenti li abbiamo», s?arrabbia il sindaco, «soldi, strutture per nulla». Infatti, nello stadio cittadino e nei tre campi da tennis, per le 1.500 persone presenti, la casa è una tenda o, per i più fortunati, una roulotte. Per altre 2mila è l?auto, dove si dorme per non allontanarsi dalle case. Di notte, per resistere al freddo, bisogna dormire vestiti. E il nubifragio forte, violento, improvviso, copre tutto di fango. È la Protezione civile dell?Emilia Romagna che ha in cura Santa Croce. I volontari ospitano i 70 bambini e centinaia di anziani. Molti provengono dalla casa di riposo delle suore: quelle più giovani, il giorno del terremoto, si sono caricate sulle spalle quelli invalidi e li hanno portati al sicuro.


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