Formazione

Il signor Gaber che ci conosce e ce le canta

Il 13 aprile esce il nuovo disco di Giorgio Gaber, un disco atteso 17 anni. Torna a farsi vivo il cantante che con più sincerità e meno ipocrisie ha smascherato le miserie e i dolori di intere gene

di Walter Gatti

Diciassette anni, un?eternità nell?incalzante mondo della musica: è dal 1984 che Giorgio Gaber non pubblica un disco di nuove canzoni. Anni che potrebbero far ammuffire la fama e la vena di chiunque (oltre che il suo conto corrente). Ci sono stati la caduta del Muro di Berlino e la nascita dell?Euro, siamo passati dalla Panda alla Yaris, da Forlani e Craxi a Rutelli e Berlusconi. Ma lui, Gaber, non si è smosso: lui che pure aveva già inciso oltre quindici dischi (vendendone in misura egregia) ha continuato per 17 anni a disertare gli studi di registrazione (sempre più affollati di macchinario elettronico e sempre meno avvezzi a veder circolare idee, poesia, parole) per dedicarsi a far concerti che erano en travestì piece teatrali. Certo ci sono stati per questo musicista milanese gli album derivati dalle tournée teatrali, in cui le canzoni si aggrovigliano sui monologhi, in cui le musiche sono il tappeto di parole fastidiose, ma nessuna voglia di chiudersi in studio per completare? un?opera da offrire a tutti, al mercato, alla tivù. Ora il silenzio s?interrompe: il 13 aprile esce La mia generazione ha perso, un titolo da cartavetrata, una raccolta di canzoni che ruotano – come ha dichiarato lo stesso Gaber, che sarà con questo suo disco ospite d?onore del ritorno televisivo di Adriano Celentano ? attorno alla domanda «Noi, con i nostri slanci, i nostri ideali, le nostre passioni e le nostre utopie siamo riusciti davvero a migliorare il mondo?». Quale che sia la risposta, c?intrighiamo nell?attesa, perché non sarà risposta sciocca. Però, che strano: Gaber torna dopo 17 anni e lo aspettiamo con impazienza e curiosità. Come si fa a dirlo di un sessantenne lungagnone e dal naso prototipato discograficamente e divisticamente fuori dal mondo?
Gaber, detta francamente, è fuori dai giochi del successo e della pubblica notorietà (la maggior parte dei giovani lo ignorano) per via di un paio di problemi: non fa del rock e questo l?ha messo nell?angolino da tempo. Lui, che pure nei dorati anni Sessanta faceva un po? di beat e gigioneggiava narrando di Torpedo blu, poi s?è dato a un ?teatro-canzone? che sa di chanson francoise, di Brel e di Boris Vian, di Dario Fo e di Brecht, ha voluto fare il colto, il bizzoso ed è uscito da tutti i giri che contano. E poi, secondo problema, Gaber non è mai stato un autore doc, troppo non-allineato per esserlo e così in un Italia che affibbia del cantautore anche ad Alex Britti lui ci fa la figura di quello che fa un altro mestiere. E invece, ahi ahi ahi che autore, che lessico, che ritmo, che rabbia, che costruzione lessicale. E che musica! Lo aspettiamo, dunque, questo La mia generazione ha perso, perché Gaber non sta in fila ordinato e coperto, perché ogni suo disco è un uppercut, perché ogni sua canzone evita di celebrare i luoghi comuni, perché narra bassezze e glorie dell?individuo senza nasconderlo dietro le convenzioni, perché ama la fibra della persona contro la ?massa sociale? seppur politicamente corretta (memorabile la citazione: ?La massa opacizza la luce/ la massa rifiuta la fede, rifiuta anche il male/ rifiuta l?attesa, il mistero, il sociale?, contenuta proprio nell?ultimo album pubblicato dal milanese). Lo aspettiamo anche come un album di grande impatto politico, perché nella corrida dei sorrisi e delle illusioni, potrebbe venire proprio da un cantautore (animali rarissimi in Italia) lo squillo che sveglia dal torpore e ricorda – urbi et orbi – che l?uomo che non sbatte la faccia contro la realtà non è un uomo. è – per dirla ?à la Gaber? – un coglione.

Info:i testi completi di Giorgio Gaber si trovano al sito www.giorgiogaber.cjb.net

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