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Il servizio pubblico salvato da Cucuzza

Gli incredibili retroscena alla concessione del canone

di Redazione

La legge c?è, ma non si vede. Per continuare a incassare i 2500 miliardi di canone la Rai, in quanto concessionaria di un bene pubblico (l?etere e il denaro) deve obbedire ad una legge, del 9/12/1997, che stabilisce i criteri dell?offerta e della programmazione televisiva, e a un contratto di servizio rinnovato di anno in anno, previa verifica dell?osservanza delle norme. La legge è un concentrato di buone intenzioni. Vi si legge all?art. 2 (udite, udite) che: «Il servizio pubblico deve rappresentare l?autonomia e la dialettica delle realtà sociali del nostro Paese in tutta la loro ricchezza dando voce anche a chi spesso voce non ha». Vi si stabilisce all?art. 3: «Che la concessionaria si impegna a destinare non meno del 60% della propria programmazione complessiva annuale televisiva a questa tipologia di programmi: telegiornali; informazione; cultura; programmi di servizio; programmi dedicati a bambini e giovani; programmi sportivi e si impegna a trasmetterli in orari di buon buon ascolto compresi quelli di ?prime time?». Nello stesso articolo si specifica cosa si intenda per programmi di servizio: «rubriche e programmi che trattino tematiche di interesse sociale con particolare riguardo ai bisogni della collettività (per esempio, gli anziani, la salute, il lavoro, l?ambiente, le pensioni, il fisco, la casa, i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino) e delle fasce deboli», anche se, poche righe avanti, la potentissima lobby Rai riesce a far aggiungere: «Nel genere televisivo ?servizio? rientrano anche programmi, o parti di essi, del genere ?intrattenimento? (musicali, rotocalchi, varietà) dedicati a particolari tematiche di carattere sociale». Un?aggiunta su cui la Rai di Celli e Zaccaria va a nozze: ogni anno presenta il suo compitino alla Commissione parlamentare di vigilanza Rai, un paio di tabelle (una in numero ore, l?altra in valori percentuali) in cui la programmazione è suddivisa per generi. Risultato, sbandierato e pubblicizzato anche con inserti speciali nelle riviste specializzate: il 63,4% della programmazione delle tre reti Rai è dedicata alla tipologia di generi richiesti dalla legge. Nello specifico, la Rai sostiene che dal 1 gennaio al 31 dicembre 1999 (vd. tabella nella pagina), il 14,2% della sua programmazione è stato dedicato alla ?Cultura?, e il 9,5% ai programmi di ?Servizio?. Chiunque frequenti mediamente la Rai sa quanto siano incredibili questi dati, ma alla Commissione di vigilanza a nessuno è mai venuto in mente di chiedere la specifica dei programmi, i titoli. Eppure bastava leggere l?opuscolo pubblicitario a cura della ?Direzione marketing strategico offerta e palinsesti? della Rai distribuito con il mensile Prima Comunicazione. Il 14,2 della programmazione destinato alla cultura? Non immaginatevi rubriche sui libri o scontri tra intellettuali, in quella voce sono conteggiati i film di qualità trasmessi a notte inoltrata e praticamente tutta la fiction e le serie di produzione italiana. Tenetevi forte, cultura per la Rai significa ?Commesse?, ?Un medico in famiglia?, ?Un posto al sole? ecc. E i programmi di ?Servizio? che hanno totalizzato il 9,5% dell?intera programmazione? Non svenite. Vi sono compresi i peggiori supermarket del dolore da ?Fatti vostri? a ?Donne al bivio?, sino ai programmi più idioti, dalla ?La vecchia fattoria? quotidiano culinario del mitico Sardella su Raiuno, alle prese ogni giorno con interiora, dolci e vini doc, al programma record per cosce, tette e glutei in primo piano, ?La vita in diretta?, su Raidue, inno all?idiozia suonato ogni giorno da Michele Cucuzza. Tra i programmi di ?Servizio? ci sono infine ?Prima?, la rubrica del Tg1 messa sotto accusa dall?Usigrai, ?Uno mattina? di Paola Saluzzi e persino ?Porta a Porta? di Vespa. Giudicate un po? voi.


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