Scaduto il termine della consultazione pubblica promossa dal governo sulle Linee guida per la riforma del Terzo Settore, l’evocazione del Servizio Civile Nazionale Universale ha fatto partire una sorta di danza del gambero nella quale ad importanti passi in avanti si mescolano altrettanti passi indietro. Vediamo.
Nelle linee guida emanate dal governo Renzi è scritto di voler assicurare una “leva giovani per la difesa della Patria accanto al servizio militare: il Servizio Civile Nazionale Universale”? Ecco che il sottosegretario Luigi Bobba, con delega al Servizio civile dello stesso Governo, si pone la domanda se davvero “vogliamo che sia ancora legato al principio della difesa non armata della Patria”. In effetti, il dubbio del sottosegretario è legittimo, visto che nel programma governativo di Garanzia Giovani – lanciato simbolicamente il 1° maggio dallo stesso Governo – per dare un’opportunità a chi non lavora né studia, nella presentazione delle finalità del Servizio civile, la “difesa della Patria” (prima finalità della legge istitutiva) non è neanche citata. Ancora. Nelle Linee Guida si dice di voler garantire il servizio civile a 100.000 giovani l’anno? Bene, è un passo avanti verso il Servizio civile come diritto per tutti. Salvo che – come denuncia il presidente del Forum nazionale del servizio civile – intanto “la scure della spending review sottrae quasi 21 milioni al Fondo Nazionale Servizio Civile”. Si tratta di un “accantonamento tecnico” – risponde il sottosegretario – che, intanto, corrisponde a circa 4.000 giovani in meno rispetto ai progetti in corso.
Tra le questioni più controverse c’è poi il tema delle risorse ulteriori necessarie: dove prenderle per finanziare il Servizio Civile Universale? Il Movimento Nonviolento ha scritto a Renzi ribadendo che poiché il SCN è “una forma di attuazione dell’art.52 della Costituzione” – come da sentenze della Corte Costituzionale – e “la difesa della Patria è uno dei fondamenti della Costituzione, di esclusiva competenza statale” essa “non può essere delegata ad un contratto tra privati”, dunque il co-finanziamento è da respingere. Anche perché, specifica un ampio e articolato documento della Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – “oramai la somma investita dalle organizzazioni quasi equivale quella investita dallo Stato, per la progettazione, la promozione, la selezione dei giovani, l’organizzazione delle attività e le risorse umane conseguenti, la formazione generale e specifica, il monitoraggio…”.
Come fare dunque a garantire il diritto al servizio civile a tutti i giovani che vogliono farlo ed il diritto alla difesa civile per tutti i cittadini? Nel dicembre del 2012, in occasione dei 40 anni della legge 772 del 1972, istitutiva dell’obiezione di coscienza e del servizio civile sostitutivo, antesignano dell’attuale, un cartello di Reti lanciava la Alleanza per il futuro del servizio civile dove indicava al nuovo Parlamento, che sarebbe stato eletto da lì a poco, un criterio preciso: “definire un parametro chiaro dell’impegno finanziario nel bilancio dello Stato per la difesa civile, attività specifica del SCN, rispetto a quello del finanziamento per la difesa militare, attività specifica delle FF.AA.”
Poiché nella danza del gambero questo aspetto fatica ad emergere, le Reti – proprio a partire da Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile e Forum Servizio Civile alle quali si aggiungono Rete Italiana Disarmo, Tavolo Interventi Civili di Pace, Campagna Sbilanciamoci, Rete della Pace – hanno costituito la loro “Alleanza” e hanno lanciato lo scorso 2 giugno, Festa della Repubblica che ripudia la guerra, la Campagna per il disarmo e la difesa civile non armata e nonviolenta, che comprenderà anche il SCN, finanziato – oltre che attraverso un capitolo di spesa specifico nel bilancio dello Stato, dato dalla riduzione delle spese militari – anche attraverso quella “opzione fiscale” che consentirà ai cittadini di devolvere il 6 per mille alla difesa civile non armata e nonviolenta, cioè anche – e sopratutto – al Servizio Civile Nazionale Universale. Dunque saranno i cittadini, con le loro firme su una legge di iniziativa popolare, a cambiare le danze.
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