Mondo
Il serpente di Port-Au-Prince
Dopo il terremoto la stima dei bambini a rischio è salita a 2 milioni
Lo chiamano proprio così: «Le grand serpent». Come se la catastrofe fosse un lungo biscione che non se ne va via più. E a pagare sono soprattutto i più piccoli Quando il terremoto ha devastato Haiti, il 12 gennaio scorso, l’ora locale segnava le 16.30. I bambini erano ancora a scuola o per le strade a giocare. Le mamme a casa. Nell’inferno che in pochi secondi ha ucciso oltre 220mila persone, i piccoli sopravvissuti hanno conosciuto un nuovo dramma: la separazione.
Si tratta di un’«emergenza senza precedenti per l’infanzia», dicono dall’Unicef. A sei mesi dal terremoto la situazione è ancora molto lontana da uno standard di normalità. Sono circa 1,6 milioni gli sfollati nella capitale Port-Au-Prince e nelle zone circostanti, sistemati in 1.342 insediamenti spontanei. Tra i rifugiati, la popolazione infantile o comunque minorenne risulta quasi la metà, pari a 800mila bambini e ragazzi in estrema difficoltà.
Ma nell’impossibilità di ricostruire tempestivamente i legami rimasti, si è preferito lasciare i bambini nel loro contesto di riferimento. «Dai nostri centri parte un’importante attività di registrazione e monitoraggio dei bambini a rischio di traffico, che Terre des Hommes sta conducendo anche nelle crèche (le case d’accoglienza dei bambini abbandonati) di Haiti», ha dichiarato Raffaele K. Salinari, presidente di Terre des Hommes. «Dai nostri controlli il 70% dei bambini definiti orfani risulta avere almeno un parente in vita».
I maggiori Paesi di destinazione delle adozioni per i minori haitiani – cioè Stati Uniti, Francia e Paesi Bassi – hanno attualmente interrotto il deposito di nuovi fascicoli per le pratiche di adozione. I bambini partiti a scopo di adozione nel post terremoto, secondo TdH (che però ha definito questa procedura “affrettata”), sarebbero 1.800. Altri partiranno molto presto. Sul fronte delle adozioni, il Parlamento haitiano ha in agenda la discussione di una nuova legge sulle adozioni (quella attuale risale al 1974), che dovrebbe allineare il Paese alla Convenzione dell’Aja.
Eppure poche settimane fa «il governo haitiano ha vietato la distribuzione di cibo nei campi», spiega Daniele Lodola, operatore di ActionAid. Una scelta difficile, dettata dalla necessità di evitare tafferugli. Le ong, in ogni caso, continuano ad effettuare la distribuzione di cibo in modo ordinato, all’interno dei progetti. Così anche SOS Villaggi dei Bambini, che nel suo villaggio di Santo ospita 410 minori e porta assistenza a circa 22mila persone.
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