Mondo

Il serpente delle fake news

Il Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali interviene sul tema che sta avvelenando il mondo dei social media. Lanciando l’idea di un «giornalismo di pace». Che è qualcosa di diverso da quello che si può intendere di primo acchito...

di Giuseppe Frangi

«Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti».

Per la giornata delle comunicazioni sociali papa Francesco ha scelto di affrontare il tema drammatico delle fake news. L’ha affrontato in modo frontale, senza nascondere nessuna delle conseguenze che il dilagare delle false notizie ha sulla vita sociale: le fake news come forma di avvelenamento della vita collettiva. «L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili», scrive Francesco. Il volano dei social network poi serve da amplificatore incontrollabile. Anche perché il terreno di cultura di queste menzogne sono «ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti», dove le persone non sono mai portate a confronti dialettici, ma a condividere acriticamente tutto ciò che viene diffuso.

Non è un male di oggi, perché come sottolinea con un riferimento forte e suggestivo Francesco, il primo responsabile di fake news della storia è il serpente biblico che nella Genesi induce in inganno Eva ed Adamo. «La strategia di questo abile “padre della menzogna” è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti.

Nel racconto del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene», scrive Francesco. Eva, avendo dato credibilità al serpente falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, alla fine si fa sviare, quando il serpente stesso le garantisce che mangiando dall’albero sarà come Dio, «conoscendo il bene e il male». Sappiamo invece com’è andata: «a conferma che nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste».

Ma la parte più interessante e coinvolgente dell’intervento del Papa è quella “positiva”. Come ci difende dalle fake news? Come si impara riconoscerle? «Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità», ha scritto Francesco. Ma la verità secondo Bergoglio è qualcosa di diverso da quell’idea astratta e di “principio” che sempre ci si fa. La verità è qualcosa di tangibile, di sperimentabile nella vita di ciascuno. «La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere». La verità ha una dimensione relazione. È una relazione. Come potrebbe altrimenti la verità fare liberi, secondo quanto dice Gesù nel Vangelo di Giovanni.

È un approccio che finisce anche con il riconfigurare anche la professione giornalistica: «Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. L’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace».

Per questo Francesco lancia un invito ad un “giornalismo di pace”, che non è «un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati». Un giornalismo che nasca dalle relazioni e che abbia come scopo la salute delle relazioni umane: «fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone»

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