Sono una mamma e adoro WhatsApp. Sono una mamma e detesto WhatsApp.
Lo amo perché risolve molti problemi legati ai tempi strettissimi e alle organizzazioni acrobatiche di noi donne. Con un messaggino saluti le amiche, fissi gli appuntamenti, li disdici, ti regali una risata.
Lo detesto perché ti inchioda al telefono. Perché ti mette in condizione di non fare una telefonata, quando una conversazione a voce è un’altra cosa. Perché a volte ti costringe a infilarti in discussioni inutili.
In particolare in questi anni ho sperimentato le chat legate alle classi di scuola e devo dire che sono una piccola rivoluzione, soprattutto alle elementari e soprattutto per le informazioni di servizio. Domani fanno sciopero? Hanno ginnastica oppure no? Le risposte arrivano nel giro di pochi secondi.
Ma la cosa in assoluto più strategica è la reciproca collaborazione sui compiti. Quando i bambini sono ancora piccoli, nelle prime classi, i diari sono un rebus. Trovi numeri di pagina riferiti ai testi sbagliati, manca qualche quaderno che è rimasto a scuola, non è chiaro il giorno della verifica…Poco male, in una chat di 25 diversi numeri c’è sempre qualcuno che riesce a risolvere il problema! Dunque, in sostanza, WhatsApp fa risparmiare una marea di tempi morti in telefonate pietose, recupero quaderni nel delirio del sabato, fotocopie.
Però, diciamolo: il tutto è tollerabile solo entro un certo ordine di grandezza. A volte a fine giornata restano decine di messaggi ancora da leggere, soprattutto se si hanno più figli e dunque diverse situazioni da seguire.
Se parliamo di chat scolastiche, quelle che i rappresentanti di classe creano per scambiare rapidamente gli avvisi, ci vorrebbe anche un codice di comportamento, una diga etica all’inevitabile esondazione di faccine buffe e chiacchiericci. Ad esempio:
1-Gli emoticon. Le mamme adorano gli emoticon, è un fatto. Sono creativi e simpatici. Però…Se il rappresentante mette un’informazione di servizio, tipo: “A questo link trovate il menu autunnale della mensa”, non è necessario rispondere tutte e 25 con tante faccine felici, pollici alzati, battimani, piatti di spaghetti. Va bene lo stesso, abbiamo tutti capito, grazie.
2-L’angolo del pediatra. La possibilità di inviare foto genera mostri. In questi pochi anni ho visto più croste di varicella, macchie di orticaria, occhietti con la congiuntivite della mia pediatra in tutta la sua carriera. Perché inviare alle altre mamme la foto di tuo figlio ammaccato e chiedere consigli? Sai benissimo che riceverai una gamma di risposte che vanno dalla borsa dell’acqua calda all’impacco di camomilla, fino al più lucido: “Io lo porterei dalla pediatra”. Ma va’?!
3-I compleanni e le feste. Sono cose belle, certo. E’ stupendo essere coinvolti. Ma poi lentamente diventa uno stalking. Da una parte, c’è il genitore che cerca di contare i presenti: “Avete visto l’invito? Mi date una conferma?”. Dall’altra ti ritrovi le famose 25 risposte, un catalogo di sì e no faticosamente argomentati: “Sì, ci siamo, posso portare anche i fratelli? No, non ci siamo, c’è il compleanno di mia cugina/la comunione di mia nipote/la partita di calcio del grande/noi siamo a Leolandia, venite?”
4-Gli appuntamenti privati. Se una chat è stata creata dalla classe, meglio usarla per i messaggi di servizio che riguardano la scuola. Non si può costringere una ventina di famiglie a seguire le vicissitudini di un gruppo ristretto di mamme che si ritrovano al parchetto o al bar.
5-Sparlare delle maestre. No, no e poi no! Eppure succede. A volte è una scintilla minima, un micro-episodio riferito alle 9 del mattino. Ma poi ogni mamma ci mette la sua versione, porta la testimonianza incontestabile del suo tre-quattrenne. Nel giro di tre ore, sembra il processo di Norimberga. Ti viene voglia di chiamare la polizia e denunciare tutto il personale docente e non docente. Poi spegni il telefono, fai un bel respiro e ti accorgi che la delazione, con le nuove tecnologie, è un veleno ancor più rapido e micidiale. E’ diventato davvero troppo facile annientare un insegnante, screditandolo davanti all’intero gruppo, creando un clima di sfiducia ancora prima che possa essere messo al corrente e argomentare le sue scelte. Morale: se c’è una faccenda davvero grave da discutere, ci si incontra. Con buona pace di WhatsApp.
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