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Il senso della cura dello sciamano

La medicina alternativa nella visione del filosofo Silvano Petrosino

di Marco Dotti

Le pratiche sciamaniche non eliminano il dolore, ma gli danno un senso. La scienza invece toglie il dolore, ma lo rende ottuso Ricercatore da sempre attento ai temi dell’antropologia e della cura, Silvano Petrosino insegna Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano e Piacenza. Il tema della cura è spesso al centro delle sue riflessioni.
Vita: Fëdor Dostoevskij – da cui prende avvio il suo ultimo libro, L’eros della distruzione, edito da Il Melangolo – osservava che l’uomo ama «aprirsi delle strade», ma al tempo stesso «con grande passione ama anche il caos». Questo vale anche per una scienza che, con pari frenesia, organizza e dissolve i propri, e i nostri, orizzonti di senso?
Silvano Petrosino: La scienza vuole curare, non salvare. Ma nell’uomo queste separazioni non esistono, l’uomo non riesce a vivere diviso. Lo scienziato, il medico dicono: «Io non ti voglio salvare, ti voglio solo guarire», ma il successo della scienza e della tecnologia è talmente forte in termini di efficacia che, letteralmente, fa ubriacare l’uomo. Le persone poco riflessive, ubriacate dal successo dei mezzi sui fini, tendono a fare il “salto”, cadendo nella grande tentazione di compiere un “passaggio” che non esiterei a definire magico, sommando successo a successo, perdono di vista il limite.
Vita: Nei suoi corsi, lei propone spesso un film del 1996 di Michael Cimino, Verso il sole. Perché?
Petrosino: Il film di Cimino è particolarmente importante proprio perché mette in rapporto il concetto di salute con quello di salvezza. Il medico del film non riesce a interpretare nulla, se non in termini di salute, mentre Blue, il protagonista, malato di tumore, pone anche se inconsapevolmente un problema di salvezza. Blue si mette alla ricerca di se stesso, ma alla fine muore, dando in un certo senso ragione all’Occidente. Ma la grande questione aperta è il medico: durante l’ultimo incontro con Blue, il medico gli dice «ti ringrazio perché mi hai salvato». È il “paziente” che, in un certo senso, “salva” il medico, proprio perché ridefinisce il suo orizzonte di cura.
Vita: Orizzonte che, pur tra mille contraddizioni, tenta di essere recuperato da alcune pratiche alternative, omeopatiche…
Petrosino: Il valore di tutte le medicine cosiddette “alternative”, nel loro senso profondo, è proprio quello di presentare un discorso diverso. Davanti a un paziente col mal di denti, la medicina alternativa fa un discorso di questo tipo: «Io il mal di denti non te lo tolgo, ma ti metto in condizione di convivere con esso». L’errore in cui possono cadere le “alternative” è assumere la logica della medicina “ufficiale” e, di conseguenza, partire già perdenti, poiché in termini di efficacia non c’è confronto. C’è però un’altra possibilità, legata allo “scenario” di fondo. Per spiegare uno scenario di questo tipo, l’altropologo Claude Lévi-Strauss ricorreva all’immagine di una donna che sta partorendo e, nella tribù, viene convocato il medicine-man. Che cosa fa, questo medico tradizionale? Inserisce il dolore della donna all’interno di un grande mito, di un grande racconto, dà un senso al dolore. La donna, come è chiaro, continua a soffrire, ma quel dolore diventa umanamente vivibile. Lo sciamano non toglie il dolore, ma lo inserisce all’interno di una struttura di senso, mentre la scienza di oggi toglie sì il dolore, ma lo rende ottuso, slega il dolore dalla speranza.

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