Welfare
Il salone di bellezza che impiega vittime di attacchi con l’acido
Si chiama Depilex ed è la catena di saloni di bellezza che ha conquistato il Pakistan. Impiegando come parrucchiere ed estetiste vittime di attacchi con l’acido combattendo l’isolamento sociale, offre alle donne sopravvissute un futuro e alle clienti una riflessione su cosa sia davvero la bellezza
Un salone di bellezza che oltre alla cura dei capelli e delle unghie, aiuta le clienti ad acquisire una nuova percezione di quale sia davvero il significato di bellezza, impiegando come parrucchiere ed estetiste donne vittime di attacchi d’acido. Porta il nome del tipico negozio da estetiste, Depilex, la catena di negozi fondata nel 1980 a Lahore, in Pakistan, dalla determinatissima imprenditrice Musarrat Misbah, che oggi conta 25 punti vendita nel Paese, oltre ad una sede negli Stati Uniti, una in Canada e una negli Emirati Arabi e che, oltre ad una potenza economica del settore è diventato anche un simbolo del riscatto e dell’indipendenza delle donne nel Paese.
Prima di essere impiegate nei negozi infatti, le dipendenti vengono formate nella scuola istituita dall’azienda rappresentando, in un paese in cui la partecipazione femminile alla forza lavoro si aggira intorno al 20% (secondo l’International Labour Organization), un’opportunità concreta per le donne di costruirsi il proprio futuro. E dal 2003 Depilex è soprattutto una delle ancora rarissime “seconde possibilità” per le donne vittime di attacchi d’acido.
“Una sera di undici anni fa, mentre stavo per chiudere il negozio, è entrata una donna velata, chiedendomi di aiutarla. Era piuttosto scortese e mi sono detta: ecco è la fine della giornata e arriva proprio adesso una cliente difficile.” Racconta Misbah. “Quando si è tolta il velo, mi sono dovuta sedere. Davanti a me c’era questa ragazza, giovanissima, praticamente senza più il viso. Voleva che facessi qualcosa per aiutarla a sentirsi meglio. E così è iniziato tutto.” Dopo quella sera Misbah ha inserito un annuncio sul giornale locale, per offrire trattamenti alle donne vittime di acido, nei giorni successivi 42 donne si sono presentate in negozio. “Non avevo mai realizzato quanto questo problema fosse diffuso prima di allora.” Spiega Misbah che proviene da una famiglia dell’alta borghesia di Lahore. Anche Misbah stata costretta a sposarsi all’età di 17 anni ma che, dopo essere stata abbandonata dal marito, ha comunque potuto contare sull’aiuto dei genitori, che le hanno permesso di partire per Londra dove ha frequentato una scuola di formazione per parrucchieri ed estetisti.
Oltre a formare ed impiegare donne vittime di attacchi di acido nei saloni di bellezza Depilex, Misbah ha fondato anche la Depilex Smile Again Foundation, una fondazione che aiuta a finanziare le cure e gli interventi delle vittime. Negli ultimi 10 anni centinaia di donne sopravvissute a questo tipo di attacchi sono state aiutate dalla fondazione, che rimane una delle pochissime organizzazioni in Pakistan, ad occuparsi della cura e dell’accoglienza delle vittime di acido.
Nel 2011 il governo pakistano ha inasprito il perseguimento del crimine ma questo non è servito da deterrente: nel 2013 i casi denunciati sono stati 143, 33 in più rispetto all’anno precedente, la Acid Survivors Foundation of Pakistan, la principale organizzazione del paese impegnata nel supporto alle vittime, ritiene però che i numeri siano molto più alti, molte donne non denunciano i propri aggressori, perché spaventate di ulteriori ripercussioni.
Secondo Misbah la battaglia per mettere un freno a questa barbarie è ancora lunga e il governo deve fare molto di più: “Siccome è una tematica solamente femminile, finisce in fondo alla lista delle priorità del governo, tra l’altro appanna l’immagine del Paese. Per questo si preferisce parlarne il meno possibile.”
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.