Europa
Il ritorno dello psicodramma macedone
Lo scorso 12 maggio la neoeletta presidente della repubblica Gordana Siljanovska-Davkova nel suo discorso di insediamento si è impegnata ".. a svolgere coscienziosamente e responsabilmente le funzioni del Presidente della Macedonia .." omettendo deliberatamente il riferimento al segno cardinale, Nord. Così si ricomincia
Non sappiamo in base a quali elementi il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, lo scorso agosto, abbia indicato il 2030 come possibile data per l’allargamento dell’Ue ai paesi dei Balcani occidentali. Anche se i vertici dell’Unione hanno rilanciato il processo giudicandolo una necessità geopolitica a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina dopo anni di colpevole negligenza le tre questioni aperte che affliggono la regione non mostrano segni sostanziali che possano indurre all’ottimismo. In Bosnia-Erzegovina l’entità serba minaccia la secessione un giorno sì e l’altro no continuando a paralizzare e destabilizzare dall’interno il complicato funzionamento degli organi dello stato. A Belgrado ormai si punta al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca per evitare di normalizzare le relazioni con il Kosovo vanificando il lavoro certosino della diplomazia europea. Per quanto riguarda la terza questione, quella macedone, si riteneva che tutto fosse stato definitivamente superato e archiviato dopo più di vent’anni di capricci e ritorsioni fra Skopje, Atene e Sofia salvo ripiombare, negli ultimi giorni, negli incubi del passato.
Era il giugno del 2018 quando il primo ministro greco Alexis Tsipras e quello macedone Zoran Zaev firmavano a Prespa lo storico accordo che ha messo fine alla controversia sul nome che opponeva Atene a Skopje. Dal 1991 la Grecia aveva sbarrato l’accesso all’integrazione euro-atlantica della piccola ex repubblica jugoslava da poco indipendente. “Furto di storia, sottrazione di antichità, usurpazione di identità” erano solo alcune delle accuse piovute sul neonato stato che aveva deciso di mantenere il nome che già aveva quando faceva parte della federazione jugoslava. Per i greci era inaccettabile l’utilizzo del termine “Macedonia” che, secondo loro, appartiene solo e esclusivamente alla storia della nazione greca oltre a denominare una regione settentrionale della Grecia stessa. A Skopje, invece, si stava faticosamente cercando di plasmare l’identità nazionale di un paese quasi costretto all’indipendenza per un cortocircuito della storia pescando nei simboli della terra che ha dato i natali a personaggi leggendari come Alessandro Magno e Filippo il Macedone. Nulla di irreparabile; niente che non potesse essere ricomposto in maniera civile. Ma il nazionalismo è un nervo scoperto, guai a toccarlo. È come il genio della lampada di Aladino che una volta liberato non ha più intenzione di rientrare. In politica la carta del nazionalismo è quella più facile da giocare, sul mercato elettorale è merce che si vende sempre bene. Tutti i regimi totalitari puntano sui miti del nazionalismo per compattare l’opinione pubblica reprimendo il dissenso. E anche le democrazie, spesso, non sanno resistere alle sue sirene.
Tsipras e Zaev sono stati leader lungimiranti, due statisti che hanno voluto e saputo trovare un compromesso mettendo fine a una querelle che dall’esterno appariva ai più incomprensibile se non ridicola. È bastato aggiungere un’indicazione geografica al nome originale per trovare un punto di incontro soddisfacente per entrambe le parti. Quella che fino al 2018 era la Repubblica di Macedonia si chiama oggi Repubblica della Macedonia del Nord sottintendendo, così, che l’antica Macedonia solo in parte ricade nei confini della repubblica di Skopje. Tsipras e Zaev, però, non sono più al governo. L’accordo di Prespa è costato loro il posto davanti a due opinioni pubbliche intossicate per anni dal verbo nazionalista. Ai vertici di Grecia e Macedonia del Nord si trovano adesso due partiti che quando erano all’opposizione quell’accordo lo hanno rigettato.
Lo scorso 12 maggio la neoeletta presidente della repubblica Gordana Siljanovska-Davkova nel suo discorso di insediamento si è impegnata “.. a svolgere coscienziosamente e responsabilmente le funzioni del Presidente della Macedonia ..” omettendo deliberatamente il riferimento al segno cardinale. Immediata è stata la reazione dell’ambasciatore greco che per protesta ha abbandonato la cerimonia. Comincia, così, con un roboante incidente diplomatico il mandato della più alta carica dello stato. “Se qualcuno pensa di poter ignorare l’accordo di Prespa deve sapere che la sua strada verso l’Europa rimarrà chiusa”, ha fatto sapere, piccato, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
Chi pensava che lo psicodramma macedone fosse solo un lontano ricordo è costretto a ricredersi.
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