Welfare

Il ritorno del terzo settore

di Flaviano Zandonai

Allora, proviamo a riepilogare. C’era un libro verde che non è diventato bianco (o aspetta di diventarlo). E c’è un libro bianco che non è mai stato verde e che però si è preso, giustamente, le luci della ribalta. Parliamo di terzo settore e di documenti che hanno l’obiettivo di descriverne le caratteristiche, ma soprattutto le tendenze, e sopra ogni cosa le politiche che dovrebbero governarne e promuoverne lo sviluppo. A questo servono i libri che in prima stesura sono verdi – cioè aperti alla discussione – e poi schiariscono sul bianco e diventano, o ambiscono a diventare, una guida per azioni di policy making. Qualche tempo fa il Forum del Terzo Settore aveva avviato una consultazione intorno a un proprio libro verde, mentre ieri è stato presentato il libro bianco a cura della neonominata “Agenzia per il terzo settore” (la vecchia agenzia per le Onlus). Un testo corposo, quest’ultimo, che nel formato assomiglia poco ad altri libri bianchi (qualcuno ricorda, ad esempio, quello del ministro Sacconi sul futuro del sistema di welfare?) e molto più a una raccolta di saggi scientifici. Poco male comunque, perché il documento c’è e vuole rappresentare un punto di svolta nel dibattito. Aprendo i lavori di presentazione del volume dell’Agenzia, Giuseppe De Rita ha contribuito a portare il confronto a livello fattuale, pur non potendo contare su alcuna banca dati aggiornata ed affidabile – di questo se ne riparlerà nel 2013 a censimento Istat terminato. Sono tre, ad avviso di De Rita, le questioni centrali di una nuova agenda di politiche per e del terzo settore italiano. La prima riguarda il riposizionamento nell’ambito dei mutamenti epocali che investono i sistemi di rappresentanza dei corpi economici e sociali. Non è solo restyling di vecchie sigle. C’è, alla base, la volontà di affermare una diversa identità e protagonismo nel più ampio discorso politico, economico e sociale rispetto al quale anche il terzo settore deve concorrere a partire da una rappresentazione di sé (e del contesto) ben distante dai soliti approcci concettuali e normativi e più attento alle opere (e omissioni). La seconda questione riguarda il welfare, luogo di nascita di molte organizzazioni di terzo settore e ambito che richiama, più di altri, la necessità di una visione sistemica, che sappia rispondere allo sgretolamento, culturale oltre che economico, dello Stato e delle sue articolazioni. Molti dei corpi intermedi di cui sopra hanno già raccolto la sfida: ad esempio le odierne relazioni industriali trattano, sempre più spesso, di welfare. Il terzo settore appare invece in gran parte legato all’impostazione del welfare pubblico, peraltro nello scomodo ruolo di subfornitore al massimo ribasso.  Ruolo che, per evidenti e diverse ragioni, appare sempre più marginale, magari non in termini di risorse economiche ma certamente di contributo all’innovazione. Terza questione: il valore comunitario del terzo settore. La società civile nelle sue articolazioni è sempre più al centro dell’attenzione, anche se spesso strumentalmente,  della politica – vedasi i recenti referendum – ed anche delle imprese for profit (responsabilità sociale, creazione di “valore condiviso”, ecc.). Da questo punto di vista, il terzo settore può giocare un ruolo importante come sistema di governance della comunità, come veicolo in grado di organizzare interessi e bisogni attraverso strutture che rivitalizzano, in forme sui generis, il gioco democratico. Tre punti rilevanti. Tanto che si potrebbero utilizzare come capitoli di un libro bianco, mentre in quello dell’Agenzia questi stessi contenuti appaiono un pò diluiti e in quello del Forum si potrà valutare solo quando sarà disponibile in forma compiuta. Molto più definiti, invece, i destinatari di queste indicazioni. Che non sono solo il Forum, l’Agenzia, il governo, le organizzazioni di rappresentanza, ecc. ma sono anche persone con tanto di nome e cognome. Ad esempio Marco Granelli, Maria Grazia Guida, Sergio D’Angelo e probabilmente tanti altri dirigenti di associazioni, cooperative sociali, ecc. che sono stati eletti alle ultime elezioni amministrative. Non è certo un fenomeno nuovo quello del salto in politica di esponenti del terzo settore, ma sta assumento dimensioni rilevanti sia in termini quantitativi che di peso politico. Saranno anche queste persone che dovranno dimostrare, nei fatti, l’esistenza e il valore aggiunto degli elementi distintivi del terzo settore proprio nei confronti di amministrazioni locali, in particolare quelle di sinistra, che tradizionalmente sono propense ad affermare una logica tipicamente statalista. Se così non sarà sono già pronte, e in qualche caso già formulate, le accuse di conflitto d’interessi. Auguri!


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