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Il riso sardonico può unirci?

Nessuno farebbe mai girare barzellette e battute spiritosissime sui fattori di morte come gli incidenti, le malattie, le guerre, ma con il coronavorus la “forza” del panico è pari alla forza dello spirito. Sulle chat girano vademecum per proteggersi dalla contaminazione e contemporaneamente milioni di battute

di Angelo Moretti

Anche quest’anno è arrivata l’influenza. Ma quest’anno ci ha portato una novità epocale: questo virus non l’avevamo previsto, non la conoscevamo, ci colpisce ma non sappiamo bene come. Sappiamo che viene dalla Cina, ma è come dire che viene dal vento: il mondo globalizzato è immerso nella provenienza cinese. Sappiamo che può colpire a morte gli anziani per una discreta percentuale (per gli over 80 fino al 14% di possibilità), che può essere fatale per chi ha malattie pregresse (e anche qui le percentuali di rischio variano: +10,5% per i cardiopatici; + 7,3% per i diabetici; +6,3% per chi soffre di malattie respiratorie croniche; + 6% per chi è iperteso; fino a un +5,5% per chi ha un tumore), che ha colpito le Borse e l’economia mondiale quanto un lunedì nero di Wall Street, e forse anche di più, con 1000 miliardi bruciati.

Covid-19 è certamente virale più di ogni altra notizia apparsa negli ultimi 10 anni sulle televisioni ed il web di tutto il globo, accomuna i diversi mondi di questo pianeta: si parla paradossalmente di “quarantena” tanto per i bimbi della “Milano bene” che per i bimbi siriani sotto le bombe da 9 anni, come ha ben denunciato su Vita Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.

Eppure sappiamo tante altre cose: che i morti per incidenti stradali sono ogni anno 1.350.000, e costituiscono secondo l’OMS la prima causa di decesso tra i 5 e i 29 anni; che in Italia muore ogni giorno una persona per l’uso di droghe. Grazie all’agenzia EpiCentro , il portale dell’epidemiologia della sanità pubblica, sappiamo che ogni anno il virus influenzale colpisce tra il 5 e il 15% della popolazione adulta (vale a dire da 350 milioni a 1 miliardo di persone), un’incidenza che sale al 20-30% nei bambini. Tra i 3 e i 5 milioni di casi di influenza riportati annualmente evolvono in complicanze che causano il decesso in circa il 10% dei casi (vale a dire da 250 a 500 mila persone), soprattutto tra i gruppi di popolazione a rischio (bambini sotto i 5 anni, anziani e persone affette da malattie croniche). Sappiamo che gli effetti del virus influenzale non sono uguali nel mondo. Nei Paesi industrializzati l’influenza si rivela fatale soprattutto tra le persone di età superiore ai 65 anni. L’impatto nei Paesi in via di sviluppo non è noto con certezza, tuttavia l’agenzia stima che l’influenza causi un’elevata percentuale di decessi tra i bambini.

Allora perché l’economia globale si è fermata davanti ad un virus che sembra potenzialmente così meno pericoloso delle morti stradali? Cosa è tutto questo panico di fronte alla sigla del Codiv-19 se fino a ieri l’Italia sembrava divisa tra NoVax e ProVax?

Lo sapremo forse quando la partita sarà finita, quando il virus morirà di morte naturale con l’avvento dell’estate oppure quando lo avremo sconfitto con la scienza. Oggi chi ha paura se ne frega delle parole rassicuranti, perché sente di essere sotto l’attacco di un nemico che nessuno sa controllare, che nessun esercito potrà fermare sparando un po’ di proiettili o di bombe intelligenti, e le giustificazioni razionalizzatrici dei tanti scienziati non sembrano funzionare. Neanche la poca e tardiva informazione corretta sembra ormai in grado di fermare la valanga di panico che ha generato questo esserino verde, deforme e tondo, che dilaga sugli schermi, più presente nei TG di Trump, Putin e Salvini.

Accade però anche qualcos’altro. Esplode prepotente la voglia di ridere e di far ridere. Nessuno farebbe mai girare barzellette e battute spiritosissime sui fattori di morte come gli incidenti, le malattie, le guerre, le droghe. Con il coronavirus la “forza” del panico è pari alla forza dello spirito. Sulle chat girano vademecum per proteggersi dalla contaminazione e contemporaneamente milioni di battute, tra l’altro inventive ed esilaranti, su questa sciagura che ha comunque mietuto vittime nel mondo.

Il riso che provocano gli eventi funesti è chiamato storicamente riso sardonico, ed è quel riso dell’uomo che reagisce alla morte ridendogli in faccia. Uno dei primi a parlarne fu Omero, nel ventunesimo libro dell’Odissea. Il riso sardonico può essere una risata satirica e sadica, ma anche una pratica catartica, liberatoria, un sentimento di leggerezza che accomuna persone che si sentono tragicamente unite dallo stesso destino. Il riso sardonico accompagnava nell’antica Sardinia la morte rituale degli anziani nelle comunità, ma è anche un gesto di profonda autoironia sulla condizione precaria dell’umanità, sulla creaturalità di cui siamo testimonial.

Tutte queste barzellette sul coronavirus sono interessanti, andrebbero prese sul serio, forse sono più importanti del panico. Come novelli giovani di Boccaccio siamo riparati dentro i social per proteggerci dal dilagare di una peste ma, stranamente ed umanamente, siamo portati a ridere della condizione di disagio che insieme viviamo e ci sentiamo più uniti. Gli stili di vita (indossare le mascherine, evitare luoghi affollati, assalire i supermercati), i prodotti ricercati spasmodicamente (l’amuchina) diventano al tempo stesso necessità di sopravvivere e motivo per ridere di noi stessi

Ora siamo davanti ad un guado: quando la "peste" finirà o ripartiamo dall’aver messo da parte gli atteggiamenti irrazionali di panico, che puntualmente fuoriusciranno alla prossima minaccia globale, o ripartiamo dall’unità fraterna che hanno generato quelle risate amare, quel senso di comunità che per un attimo, anche solo virtualmente, ci ha fatto sentire più vicini alla paura di chi vive perennemente in pericolo di vita.

Dal panico ce ne usciremo attraverso la solita deriva organizzativistica delle società moderne, quella deriva che mette tutti sotto il controllo di uno stato paterno che ci darà la falsa convinzione di saperci proteggere dalla morte e dal dolore, uscire semplicemente dal panico ci restituirà quanto prima alla “normalità”: i poveri moriranno da poveri, i ricchi da ricchi, i bambini saranno in pericolo in Siria e nel Mediterraneo senza alcun nostro coinvolgimento empatico così massivo, le calamità colpiranno le regioni povere del mondo e non quelle “sviluppate”, le Borse ricominceranno a produrre miliardi, le Regioni Italiane continueranno ad essere divise negli standard di intervento sanitario, sia di prevenzione che di cura.

Se ripartiamo da quel riso amaro potremo innovare il nostro sguardo, potremo cercare di far tesoro di questi strani giorni in cui una comunità globale “evoluta” è crollata dalla sicumera del “prima gli italiani”, “prima gli inglesi”, “prima gli americani”, al panico di “prima me stesso” per accorgersi che siamo tutti numeri primi e tutti potenzialmente coesi dal nostro essere fragili

Questo virus è assai pericoloso, ma può essere una grande occasione per evolverci davvero verso un’altra modernità, quella che si accorge nuovamente della fragilità degli altri come della propria.

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