Formazione

Il riscatto sociale ha bisogno di alberi

La Maathai è andata oltre Gandhi. Oggi, infatti, la partita della pace si gioca sulla conservazione e sull’accesso alle risorse naturali (di Michele Candotti).

di Redazione

La notizia che il premio Nobel per la pace è stato conferito a una donna africana, Wangari Maathai, molto conosciuta tra gli ?addetti ai lavori? ma poco nota nei centri di ?opinion making? di casa nostra, ha destato molta sorpresa: perché un premio per la pace a una donna, africana, ambientalista? Ho avuto la fortuna di incontrare Wangari Maathai e di testimoniare, in diretta e sul campo, la sua attività di donna colta, forte, decisa, pronta a tutto. Per capire cosa possa essere successo è sufficiente spostarci nel Kenya di qualche anno fa, un Paese che da modello di sviluppo e riscatto post coloniale negli anni 60, da meta esotica ambita dai turisti di tutto il mondo negli anni 70 e 80, da esempio lungimirante di conservazione delle risorse naturali negli anni 90 (pensate al famoso rogo dell?avorio confiscato voluto e ordito dall?antropologo e conservazionista Richard Leakey) è passato alle cronache per gli atti di corruzione, malgoverno, violazione dei diritti umani e degrado ambientale che hanno caratterizzato l?ultimo periodo del regime di Daniel Arap Moi. è in questo contesto culturalmente fertile, internazionale, battagliero che Wangari Maathai ha saputo coniugare la lotta per i diritti umani con quella per il diritto all?ambiente, rendendo i due aspetti imprescindibili uno dall?altro. Questo Nobel ci consegna un messaggio importante: se nel secolo passato il raggiungimento della pace passava attraverso il riscatto razziale ed economico di popolazioni escluse fino ad allora, e il Nobel Gandhi ne è stato il massimo simbolo, nel 2000 la partita della pace si gioca su un altro fronte: la lotta all?esclusione dall?accesso alle risorse naturali delle popolazioni e delle comunità locali nel mondo. è una scommessa sul futuro che non può eludere l?affrontare in maniera radicale e seria la questione della conservazione delle risorse naturali e dello sviluppo responsabile. è una scelta lungimirante che dimostra in modo concreto come gli scenari di sviluppo sostenibile a livello planetario non siano pura opera di fantasia e sogni irrealizzabili di una ridotta élite di ambientalisti autoreferenziati, ma abbiano delle radici profonde nell?opera quotidiana di persone come Wangari Maathai che in Africa ha non solo lanciato uno dei più grandi movimenti popolari d?opinione e di educazione e diritto allo sviluppo, ma ha puntato con la potenza della chiarezza e della semplicità al nodo centrale del problema, ovvero, il legame inscindibile tra prevenzione dei conflitti, lotta alla povertà e tutela delle risorse naturali. Non è un caso, quindi, che questo sia avvenuto in Kenya, un Paese che si trova di fronte a una svolta decisiva: da una parte tradizionalmente e storicamente punto di riferimento per i lungimiranti investimenti fatti nell?educazione della popolazione africana in epoca immediatamente post coloniale e per molte delle campagne internazionali di tutela delle risorse naturali, dall?altra Paese stravolto da un crescente degrado ambientale e dalle conseguenti dislocazioni demografiche ed economiche che hanno portato ormai oltre il 50% della popolazione sotto la soglia di povertà. Wangari Maathai è simbolo di una politica di investimenti nel ?capitale umano? di un Paese africano, ma è anche la chiave di riscatto per il continente in un momento di grave difficoltà: il parallelo con il Nobel a Mandela viene spontaneo.

Michele Candotti


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