Formazione
Il riscatto dei poveri si chiama formazione
Istituti. L'Icu e la cooperazione universitaria: un piccolo istituto ha saputo aprire fronti in tutto il mondo. Con un obiettivo: quello di formare quadri
di Chiara Sirna
La sua gente lo chiama «Papa ya ba kabishi», che in swahili significa «papà dei prematuri»: da dieci anni aiuta le madri a partorire nel centro pediatrico di Kinshasa costruito dall?Icu – Istituto di cooperazione universitaria. E non è il solo. Di medici, infermieri e professionisti locali, come Léon Tshilolo, questo è il suo vero nome, ce ne sono tantissimi a lavorare in prima linea. In Congo, ma anche in altri paesi, perché l?Icu, in quarant?anni di attività sul campo, ha sempre scommesso il tutto per tutto sulla formazione, cercando di fare delle università il cardine dello sviluppo socio-economico anche nelle zone più arretrate del Sud del mondo.
«Cos?altro meglio delle università può giocare un ruolo decisivo per la rinascita dei paesi in via di sviluppo?», domanda retoricamente il segretario generale, Carlo De Marchi. «è lì che si formano i leader del futuro. Bisogna fare in modo che puntino a professionalizzarsi per mettere le conoscenze acquisite al servizio di tutti. Solo così i paesi poveri potranno risollevarsi sulle proprie gambe. Noi possiamo portare le risorse, ma il lavoro deve necessariamente restare nelle loro mani». A prescindere dal gruppo etnico o religioso di appartenenza.
«Se si cade nell?imposizione di un orientamento confessionale è la fine», continua De Marchi. «Le nostre radici sono profondamente cristiane: fu lo stesso fondatore dell?Opus Dei, Josemaría Escrivá, a incoraggiarci. Ma se ci affidassimo a idee preconcette non potremmo lavorare in nessuna parte del mondo. Bisogna unire le forze soltanto intorno agli obiettivi da raggiungere, superando tutte le divisioni culturali e di fede».
E così è stato. In Kenya, per esempio, a Nairobi, l?Icu ha inaugurato il primo e unico collegio interconfessionale e intertribale per la formazione di donne contabili. «è nata una scuola per segretarie di alto livello», commenta ancora De Marchi. «Praticamente il primo germe di una piccola facoltà di economia, che sta già crescendo».
In Medio Oriente, invece, sono arrivati nelle roccaforti di 16 diverse comunità religiose. Prima durante l?occupazione israeliana, sostenendo gli sfollati della regione del Monte Libano e poi con progetti di riqualificazione dei terreni agricoli abbandonati dagli israeliani dopo il ritiro, su cui oggi gli hezbollah lavorano fianco a fianco con cristiani e musulmani. In Libano, nelle province di Bintjbeil, Marjayoun e Hasbaya, dal 2001 a oggi sono stati avviati centri di assistenza per agricoltori, un servizio di analisi agricole e un vivaio per la distribuzione di piante da rimboschimento.
A volte sono gli stessi guerriglieri a deporre le armi di fronte a possibilità concrete di sviluppo e occupazione: nell?arcipelago filippino del Mindanao, sull?isola di Basilan, dilaniata dalla guerra civile tra i gruppi musulmani del Fronte di Liberazione nazionale e l?esercito ufficiale, è già successo. «Con fondi europei siamo riusciti ad attivare un programma di inserimento lavorativo per i guerriglieri. Nel nostro villaggio costruito su palafitte oggi convivono pacificamente cristiani e musulmani intorno all?attività della pesca».
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