Dibattiti
Il rilancio economico? Passa dalla cura
Non è più tempo di correttivi, occorre cambiare il modello di sviluppo. La cooperazione è il candidato ideale per guidare il processo, per tre ragioni: supera il conflitto tra capitale e lavoro, ha una tradizione di partecipazione e sa cos'è la cura. Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, interviene nel dibattito sul cooperazione e diseguaglianze sociali
Nell’epoca che stiamo attraversando, riflettere e confrontarsi sul modello attuale e futuro di sviluppo economico è fondamentale. Troppo a lungo questa riflessione è rimasta sotto traccia o è stata accantonata, anche perché capitale e lavoro, per alcuni decenni e soprattutto in alcune aree del Paese, hanno trovato un compromesso che ha consentito sia un buon tenore di sviluppo economico sia una significativa tenuta sociale.
Gradualmente alcuni elementi fondanti di questo compromesso, tra i quali un discreto equilibrio delle forze sociali in campo, sono venuti meno e crescita economica e benessere sociale hanno iniziato a percorrere strade divergenti. I segnali di questo crescente disequilibrio sono diventati sempre più evidenti nel corso degli anni ’90, con il procedere della globalizzazione, mentre le ricadute ambientali del modello di sviluppo erano già ben documentate, e ciononostante ignorate, dagli anni ’70.
Crescita economica e benessere sociale, un sistema divergente
È stato successivamente, con la grande crisi finanziaria del 2008-2009, dopo un lento ma inesorabile peggioramento della tenuta economica e sociale, che i nodi problematici sono venuti al pettine, per poi vederli deflagrare con la pandemia. Il sistema economico, ormai fortemente compromesso e squilibrato, da generatore di benessere, progresso ed emancipazione è divenuto fonte primaria di esclusione e povertà.
La cooperazione può e deve candidarsi, per la sua natura, a guidare a guidare tutti i soggetti produttivi dell’economia verso un nuovo modello di sviluppo
— Matteo Lepore, sindaco di Bologna
Le cause di questa trasformazione sono molteplici, ma tra le principali vi è senza dubbio il progressivo accentramento di risorse e di potere nelle mani di un numero sempre più ridotto di soggetti che, allo stato attuale, salvo decisivi e determinanti interventi, hanno la strada spianata verso un ulteriore avanzamento della loro forza economica e decisionale. Tale progressione non è inesorabile, può essere contenuta e corretta, ma per farlo, alla luce della profondità del disequilibrio, dobbiamo essere consapevoli che piccoli correttivi non saranno sufficienti. È necessario pensare ed attuare un sistema economico e sociale profondamente differente dall’attuale, per poter uscire tutti, nessuno escluso, dal vicolo cieco in cui ci siamo ritrovati.
Una delle strade maestre è dare e restituire potere, decisionale ed economico, a chi non lo ha mai avuto o lo ha perduto. La strada di uscita è la partecipazione e la democrazia, a partire da quella economica. In questo la cooperazione può e deve candidarsi, per la sua natura essenziale, ad essere protagonista e guidare i processi di cambiamento necessari. Deve farsi carico di un grande onere ed onore, ovvero non solo o tanto vedere rafforzato il proprio ruolo e spazio di azione, come le politiche internazionali a partire da quelle europee stanno sollecitando a fare, ma attraverso questo potenziamento arrivare a guidare tutti i soggetti produttivi dell’economia verso un nuovo modello di sviluppo.
Una delle strade maestre è dare e restituire potere decisionale ed economico, a chi non lo ha mai avuto o lo ha perduto. La strada di uscita è la partecipazione
— Matteo Lepore
La cura, vera frontiera del rilancio economico e sociale
La cooperazione per la sua storia e per la sua natura è “il candidato naturale” per questa missione, per almeno tre ragioni.
In primo luogo, la cooperazione è il soggetto dove, per i suoi principi mutualistici e governance d’impresa, si supera il conflitto tra capitale e lavoro. Con la sua struttura multistakeholder è in grado di mediare al suo interno i diversi interessi che concorrono nei processi decisionali, ricerca di mediazione che non viene dunque scaricata sulla società e sulle istituzioni.
In seconda battuta la cooperativa per sua natura vive di meccanismi partecipativi che sono la linfa della democrazia e dei quali abbiamo quantomai necessità nell’attuale fase storica di forte disaffezione nei riguardi della vita sociale e politica.
La cooperazione è il soggetto dove, per i suoi principi mutualistici e governance d’impresa, si supera il conflitto tra capitale e lavoro
— Matteo Lepore
Infine la cooperazione, in particolare quella sociale, conosce e sa fare bene, quando messa nelle opportune condizioni, ciò che il sistema capitalistico da sempre trascura e a cui non riconosce un valore né economico né sociale: la cura. La cura delle persone, soprattutto quelle maggiormente fragili e marginalizzate, delle relazioni, dell’ambiente è la vera frontiera del rilancio economico e sociale.
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Per poter assumere pienamente questo ruolo la cooperazione è chiamata a ripensare se stessa, cosa vuol dire cooperare in questo nuovo secolo, con quali modelli e con quali soggetti costruire alleanze, per custodire l’autenticità di questa ispirazione. Uno dei maggiori rischi a cui andiamo incontro, davanti alle sfide richiamate, è quello del “washing”, che sia “green”, “pink” o “social”, ovvero realtà di impresa che disattendono i loro impegni o esercitano mere operazioni di restyling o marketing. È il rischio di un tradimento che non possiamo permetterci.
Da qui la rilevanza del dibattito che parte dal documento Per un’economia più giusta. La cooperazione come argine delle disuguaglianze e abilitatore di giustizia sociale elaborato da Forum Disuguaglianze e Diversità e Fondazione Unipolis, attraverso il quale si richiama la cooperazione a mettersi in gioco con l’adozione di sistemi di governance e pratiche organizzative e gestionali che possano concretamente raggiungere gli obiettivi di una maggiore equità sociale, per i quali la cooperazione è nata. Vediamo segnali interessanti e Bologna, con la sua storia e il suo impegno, rappresenta un laboratorio naturale di questo percorso, che sosteniamo e al quale guardiamo con grande attenzione.
Chi è
Sindaco del Comune di Bologna, con deleghe alla Cultura, integrazione socio-sanitaria e personale e contestualmente della Città metropolitana di Bologna. Negli anni è stato consulente e project manager nel campo dell’associazionismo e dell’impresa culturale. Dal 2008 fino al maggio 2011 è stato responsabile dell’Area sviluppo territoriale, innovazione e internazionalizzazione di Legacoop Bologna. È stato due volte assessore.
Foto di Fauxels su Pexels
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