Formazione

Il reinventore del lavoro

Con Sviluppo Italia ha permesso mille start up, per l’80% ancora operativi. Intervista a Carlo Borgomeo.

di Ettore Colombo

Carlo Borgomeo (napoletano, sposato, 4 figli, sigaro perennemente in bocca, look impeccabile ma non lezioso, arte partenopea del bon vivre connaturata) ha fondato e presiede la Borgomeo&co., società di consulenza aziendale e imprenditoriale, e si muove tra Napoli, Roma e il resto d?Italia. Amministratore delegato della società di trasformazione urbana Bagnolifutura, alle sue spalle ha già una lunga carriera di manager pubblico esperto di trasformazioni del mondo del lavoro. In qualità di amministratore delegato di Sviluppo Italia – che, nata nel 1999, è l?agenzia di promozione economico-imprenditoriale del Mezzogiorno (titolare ne è il ministero dell?Economia) – e prima ancora (dal 1986 al 2000) come presidente degli organismi deputati all?attuazione della legge 44/86 sull?imprenditoria giovanile (dal 1994 Ig spa), Borgomeo può vantare un?esperienza innovativa e significativa, dal punto di vista dei risultati, che ha consentito lo start up di circa mille imprese che oggi fanno registrare stabilmente un tasso di sopravvivenza dell?80%. Inoltre, da presidente della Società per l?imprenditorialità giovanile, nel 1996 ha ideato e successivamente attuato l?intervento del cosiddetto ?Prestito d?onore? che finora ha coinvolto oltre 30mila soggetti in attività autonome (tasso di sopravvivenza delle iniziative avviate grazie a esso, l?89%). Ma Borgomeo è stato anche direttore di ricerca al Censis e, prima ancora, sindacalista della Cisl. Sarà anche un manager, insomma, ma decisamente poliedrico: non a caso unisce efficienza e ironia. Amico storico, primo presidente del consiglio di amministrazione di Vita, il mix permette a lui e ai suoi collaboratori di tollerarne persino i giornalisti. Vita: Quali cambiamenti vede oggi nel mercato del lavoro e cosa invece è uguale a dieci e più anni fa? Carlo Borgomeo: Rispetto a dieci anni fa ci sono stati dei cambiamenti incredibili all?interno del mondo del lavoro. Se ne potrebbero citare tanti (dall?innalzamento della scolarità ad altri) ma ne vorrei sottolineare due: primo, la caduta verticale dell?occupazione nella grande impresa (ogni volta che vengono fuori i dati Istat che dicono che la grande impresa perde il 4-5% ci spaventiamo, ma è un dato strutturale). Un fatto enorme davvero: la fabbrica fordista non esiste più. Il secondo è la grande flessibilità che si registra ormai sul mercato del lavoro. Ma proprio in questi giorni riflettevo su una grande questione strutturale che in Italia è rimasta immutabile: il divario Nord-Sud. è ripresa l?emigrazione Sud-Nord e si stanno diffondendo meccanismi perversi, da caporalato del Terzo millennio. Mi raccontano di pulmini che partono il lunedì all?alba dalla Puglia e vanno in Veneto meridionale, lavorano fino al venerdì e poi tornano indietro. Il paradosso che i grandi dati strutturali siano cambiati, sia cambiato fortemente il governo del mercato del lavoro (cioè l?incontro domanda-offerta) ma che il divario Nord-Sud sia rimasto un dato immutabile, mi sta dando molto da pensare, di recente. Vita: Quindi non tutto va per forza per il meglio all?interno delle trasformazioni del mercato del lavoro? Borgomeo: Affrontare il tema delle politiche del lavoro oggi vuol dire prendere di petto due nodi cruciali: il primo è discutere cosa sia la flessibilità. Io sono per il lavoro flessibile, ma quando si parla di flessibilità bisognerebbe citare sempre anche due corollari che invece di solito mancano. Il primo è che la flessibilità non va applicata solo nei rapporti di lavoro. Quando si parla di flessibilità bisogna farlo complessivamente: non si può essere fautori della flessibilità nel rapporto del lavoro dipendente ma non fautori della flessibilità nel credito ad esempio. Perché oggi un giovane in Italia non può avere in prestito soldi per studiare? E dov?è la flessibilità nell?accesso alle libere professioni? Siccome viviamo in una società che aveva organizzato il suo sistema di garanzie attorno al posto di lavoro dipendente stabile, il paradosso è che si rende flessibile quello ma resta stabile il sistema di garanzie ad esso collegato. Insomma, abbiamo un welfare che ha il suo agglutinatore nel posto di lavoro fisso: se il sistema di welfare perde garanzie, come oggi, bisogna però inventarsi qualcos?altro. Tracciare carriere previdenziali diversificate, per dire. Poi dimostrare molta attenzione verso il fenomeno del lavoro sommerso. Innanzitutto perché c?è una questione di legalità e poi perché è un fatto di opportunità. Io credo che sia stata un disastro la politica di questo governo, ispirata dall?ex presidente di Confindustria, Antonio D?Amato, sul sommerso. L?operazione che bisogna fare sul lavoro sommerso è invece di qualità, non certo di sconti e repressione. Bisogna armarsi di santa pazienza e andare a vedere se nel sommerso c?è qualità imprenditoriale e lavorare su quella. Vita: Torniamo a quando s?inventò la formula del ?prestito d?onore?. Cos?era e a cosa serviva? Borgomeo: L?idea del prestito d?onore è del 1996 e i suoi primi effetti si sono visti nel 1998. Ma aveva stanato una domanda latente di lavoro autonomo presente da tempo, almeno dal varo della legge 44/1985 sull?imprenditoria giovanile, che era ormai un?esperienza matura alla metà degli anni 90. Avevamo di fronte una scelta: o enfatizzare l?idea che vedeva in quella legge una forma di ?venture capitalism? dei poveri, stressandola verso l?alto, oppure cercare di abbassarne la soglia. Quando andavamo in giro a proporre la 44, infatti, trovavamo difficoltà: la redazione di un business plan era un atto difficile. Allora passò la logica – uno di quelli che insistette di più al proposito fu Aldo Bonomi – di trasformare la 44 in un?agenzia di promozione del lavoro autonomo. Un?idea fulminante. Scrissi un articolo sul Mattino di Napoli, proponendo l?idea. Due parlamentari Ds (Sales e Soriero) presentarono un progetto di legge, il ministro Treu fece un decreto legge che formalizzava l?idea del prestito d?onore. Per promuovere il progetto dicevo: «Mi vergogno di vivere in un Paese dove se si vogliono dare 50 milioni a un ragazzo che si vuole mettere in proprio bisogna smuovere un?intera burocrazia». La struttura del prestito prevedeva una prima fase tutta pubblica e una seconda in cui il pubblico dava vita a un grande fondo di garanzia e le banche raccoglievano le domande. Sognavo una terza fase in cui i prestiti sarebbero avvenuti senza sostegno pubblico grazie a un fondo di garanzia nazionale di 200/300 miliardi l?anno in cui non ci fossero più fondi perduti ma solo prestiti garantiti. Vita: Perché la sinistra, ma anche il centrosinistra, ha avuto in larga parte paura di queste innovazioni? Borgomeo: Freddamente bisogna dire che le regole del mercato del lavoro andavano cambiate perché non reggevano più: la cultura ispiratrice delle norme che governavano l?offerta di lavoro (collocamento, mobilità e formazione professionale) erano pensate per una logica da posto di lavoro tradizionale. Era ovvio, giusto e normale che venissero cambiate: aver difeso il collocamento è stato un errore, da parte della sinistra e del sindacato. Da napoletano ho sempre detto che era una fortuna quando il collocamento non serviva a niente perché altrimenti serviva ad altro, a fare il ?mercato? – illegale – dei posti di lavoro. Il centrodestra ha fatto bene a seguire la strada dell?innovazione, il problema è che poi l?ha usata per menare il sindacato, come nel caso della battaglia sull?articolo 18. Vita: Non mi dica che proprio un ?liberista innovatore? come lei voleva difendere l?articolo 18! Borgomeo: No, affatto ma mi pongo il problema se serviva, in quel momento, schierare le armate e farsi la guerra per un problema che, in quel momento, riguardava al massimo qualche centinaia di lavoratori in tutt?Italia. L?obiettivo era portare a casa la sconfitta del sindacato, non il merito della questione, per D?Amato. Ecco perché era diventato maturo, quasi ovvio, il tempo di un cambio radicale, in Confindustria. Vita: La logica e la pratica della concertazione tornano ancora utili, dunque? Borgomeo: La logica della concertazione ha dalla sua ancora una forza essenziale, il governo delle dinamiche salariali. Bisogna anche iniziare a dire però che le famose riunioni sindacati-governo-Confindustria nella sala verde di palazzo Chigi danno sempre più l?impressione di un deficit di rappresentatività. Il problema che si pone è molto delicato: cambia il meccanismo del lavoro, cambiano le regole del gioco o meglio cambia il gioco, devono cambiare le regole e deve cambiare anche il meccanismo di rappresentanza. Del sindacato e anche degli altri attori sociali. Per capirci, se uno prende gli ultimi dati delle unità produttive, vede aziende monopersonali. Una riduzione delle dimensioni aziendali a tali livelli chi la rappresenta? E il popolo delle partite Iva chi lo rappresenta? Si apre un problema di rappresentanza enorme per tutti. Vita: L?impresa sociale è realtà ma fa paura. Temono ?corrompa? la natura solidaristica del Terzo settore… Borgomeo: Da osservatore esterno vedo in atto da tempo un processo, che è anche un fatto sociale e culturale cui un giornale come Vita ha dato una bella mano perché venisse fuori, dalla portata formidabile, grazie al quale la fase di presunta antiteticità tra sociale e impresa è stata superata. C?è tanta gente ormai che fa impresa seriamente e con una motivazione sociale. Basta il buon senso però per capire che un?impresa può non avere l?utile come ossessione ma deve avere l?utile come vincolo, il che vuol dire che deve avere la cultura del risultato. E questa è una conquista culturale straordinaria. Tuttavia bisogna smetterla di usare in maniera ambigua la categoria della solidarietà. Per dire, siamo sicuri che al mondo del Terzo settore conviene la mancanza di concorrenza nella gestione per le commesse dei servizi pubblici che affidano loro i Comuni? Casomai servirebbero imprese e criteri che favoriscano imprese di un certo tipo, non l?assenza di concorrenza. Nel Terzo settore vedo dei veri e propri gioielli di efficienza ma bisogna uscire dall?ipocrisia e accettare la sfida del mercato. Vita: Lei con chi ne discute delle trasformazioni del mondo del lavoro? Borgomeo: Con Giuseppe De Rita, con Aldo Bonomi e con molti amministratori locali, da cui ho imparato molto. E poi con la gente che incontro nei territori. Per me è stato decisivo il passaggio dal Nord al Sud: ho avuto la fortuna di fare il sindacalista prima a Brescia e poi a Napoli, a metà degli anni 70, e lì mi sono accorto che qualcosa non funzionava, che il sistema delle regole che presidiava il mercato del lavoro era fatto per Brescia, non per Napoli. Il fattore e il lavoro sul territorio è stato decisivo. Vita: Bonomi parla di ?capitalismo coalizionale?, cioè territorio, reti, piccole e medie imprese, sociale? Borgomeo: Il vecchio sistema che non regge più sta cedendo il passo a qualcosa che non c?è ancora. Bisogna vedere cos?è e come si rappresenta questo nuovo capitalismo, come si fa istituzione, come si fa forza politica. Per ora sappiamo solo cosa si lascia alle spalle.


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