Economia
Il Reddito di Cittadinanza ha davvero fallito?
Adesso Conte vuole cambiare le regole. Tutto prevedibile: pochissimi hanno trovato lavoro, ergo lo strumento ha fallito. Non è così, semplicemente perché - retorica a parte - l'obiettivo del Reddito di Cittadinanza era sostenere le persone in povertà e non creare lavoro. Tutto bene quindi? Niente affatto, tre cose da cambiare subito ci sono. Mentre per il lavoro, si punti ora sui Patti per l'imprenditoria civile
Si torna a parlare di revisione del Reddito di Cittadinanza. Questa volta a chiedere una revisione radicale della misura è addirittura il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che punta l’indice contro le pochissime offerte di lavoro formalizzate dai navigator: 220.048 su una platea di 1,23 milioni di persone tenute al Patto di servizio. Secondo il premier, la misura-simbolo del M5S «rischia di essere una misura assistenziale senza progettualità». Di contro, Luigi Di Maio difende lo strumento: andrebbe soltanto applicato meglio, a cominciare dai regolamenti per i lavori di pubblica utilità che permetterebbero ai Comuni di reclutare i beneficiari del Reddito: «lo hanno fatto solo 400 amministrazioni», dice il ministro.
Roberto Rossini è portavoce dell’Alleanza contro la povertà e Presidente di Acli. Se si vanno a rileggere le analisi sue e dell’Alleanza, era chiaro che saremmo arrivati qui prima ancora che il Reddito di Cittadinanza entrasse in vigore. Quando l’Alleanza denunciava l’errore di fondo del voler tenere insieme nella stessa misura due obiettivi distinti che hanno bisogno di strumenti differenti: dare un aiuto ai poveri e incrementare l’occupazione. «Sul piano comunicativo viene sempre più accentuata la finalità occupazionale del Reddito di Cittadinanza, con il rischio di diffondere tre messaggi sbagliati»: scrivevano le organizzazioni che compongono l'Alleanza contro la Povertà. Il primo è «assegnare al RdC obiettivi che non gli competono. Gli si attribuiscono, infatti, eccessive responsabilità nel fronteggiare i problemi occupazionali italiani, che richiedono invece differenti interventi». Secondo, sminuire il valore dei diritti sociali: «insistere sull’inserimento lavorativo veicola il messaggio che le politiche contro la povertà non possono essere promosse con il loro vero obiettivo: garantire diritti sociali alle fasce più deboli della popolazione». Terzo, spianare la strada ad attacchi futuri: «Se l’obiettivo principale del RdC viene presentato essere la creazione di lavoro, domani, quando questo obiettivo non sarà raggiunto se non per una quota circoscritta di utenti, si potrà facilmente affermare che la misura ha fallito».
Siamo arrivati al punto atteso, il paradosso del Reddito di Cittadinanza è ora evidente a tutti? Ma allora, il Reddito di Cittadinanza è o non è da cambiare?
Il Reddito di Cittadinanza si è rivelato efficace per l’obiettivo che gli è proprio, cioè quello di tutelare le situazioni di povertà. Anche se alcune norme risultano troppo restrittiva e vanno cambiate subito. Pochi hanno trovato lavoro? Non è il criterio corretto per giudicare lo strumento, perché il problema delle politiche attive del lavoro non si risolve con i navigator, ma con una buona rete di centri di formazione professionale, col dialogo fra scuole, aziende e camere di commercio, con una infrastruttura che non è quella dei servizi sociali. Mettere insieme due politiche così differenti è stata una scelta che si sta rivelando sbagliata.
Quali sono le cose da cambiare subito?
Tre punti vanno cambiati subito. Il primo è abolire i 10 anni di residenza continuativa chiesti agli stranieri, riportandoli a 2 come era per il REI. È stata una scelta ideologica quella dei 10 anni, perché all’epoca al Governo c’era la Lega: oggi quell’ideologia va superata, anche perché dai dati è evidente che gli stranieri fra i percettori di reddito sono sottorappresentati rispetto alla situazione reale. Il secondo tema è quello delle famiglie con figli, per cui urge rivedere la scala di equivalenza in modo che il RdC tenga adeguatamente conto dei carichi familiari. La terza cosa da cambiare subito è prolungare la misura a 22-24 mesi, per via dell’emergenza Covid-19: proprio in questi giorni scadono i primi assegni, perché siamo arrivati ai 18 mesi dal marzo 2019… È prevista la possibilità di richiedere il Reddito, ma solo dopo un mese di sospensione: cosa che in questa situazione mi pare da evitare. Meglio dare continuità.
Sul fronte lavoro invece?
Rimane il fatto che questo sia un provvedimento anfibio, perché tiene insieme due logiche differenti, la tutela contro la povertà e le politiche attive del lavoro che hanno altre logiche, altri strumenti, altri interlocutori. Questo è un problema di fondo. In questo modo si rischia una guerra fra poveri.
Che fare quindi?
Sul versante delle politiche attive del lavoro una strada da percorrere mi pare quella dei Patti per l’imprenditoria civile proposta dal gruppo “Per un nuovo Welfare” di cui anche VITA fa parte. Questi Patti sono uno strumento interezzante per superare i limiti del Reddito di cittadinanza: l’idea è che chi è rimasto senza lavoro possa avere subito accesso a un certo numero di mensilità del Reddito di Cittadinanza, diciamo 18, così da avere un piccolo capitale per aprire una piccola impresa sociale i cui progetti saranno selezionati in base ad una valutazione ex ante che terrà conto di una serie di parametri economici, temporali, qualitativi. È uno strumento molto interessante ma costoso, ne siamo consapevoli, quindi è importante che le risorse non vadano sottratte alla lotta contro la povertà.
Cosa fa VITA?
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