Cultura

Il recupero del quartiere di New York, lezione per i politici italiani

Lee Stuart: «Così ho fatto rinascere il Bronx»

di Redazione

Al cinema abbiamo imparato a conoscerlo come l’ habitat di spacciatori e pregiudicati. La maratona cittadina lo evita accuratamente (tranne che per poche centinaia di metri). Lo temono i newyorchesi, frequentandolo soltanto per le partite di baseball (lo stadio è ancora lì). Per la signora Lee Stuart, invece, Bronx è sinonimo di linde casette a schiera, con giardinetto sul retro. Di parchi per i bambini e scuole ben attrezzate. Esibisce con soddisfazione le foto del «suo» quartiere, orgogliosa come fosse un figliolo, scolaro modello. Un miraggio? Uno scherzo di carnevale? No, la signora Stuart è il «commissario per lo sviluppo del South Bronx». E quelle casette sono state costruite anche grazie a lei. Perché il «miracolo» dell’amministrazione del sindaco Rudolph Giuliani, la drastica riduzione del crimine e l’aumento della vivibilità dei quartieri (Manhattan, Brooklyn, Queens, Bronx, Staten Island), avvenuto in questi ultimi cinque anni, è fatto anche del lavoro di tanti funzionari come Lee Stuart. La signora appartiene a una associazione non-profit per lo sviluppo delle aree urbane degradate, la Iad , e la sua esperienza l’ha portata al ruolo di commissario per il South Bronx. «Non è stato facile – spiega la signora Stuart, a Milano per intervenire a «Progetto Città», convegno internazionale su urbanistica e sviluppo del territorio, circondata dall’attenzione e dalle domande di tanti politici di casa nostra – perché le procedure comunali sono complicatissime, è più facile ridurre il crimine che accelerare i tempi della burocrazia». L’impressione italiana di un sindaco di New York pressoché onnipotente, infatti, è poco aderente alla realtà. «Giuliani in campagna elettorale ha fatto delle promesse agli abitanti del Bronx, poi mantenute. Ma è stato difficile convincerlo, all’inizio». Il progetto per la rinascita del Bronx è nato alla fine degli anni ’70: «Allora il comune era in bancarotta, letteralmente, i soldi erano finiti. E così entrò in azione una politica sorprendente: i cittadini vennero di fatto incentivati a andarsene. Mantenere il Bronx era visto come uno spreco di soldi. Vennero tagliati i pochi servizi che c’erano. Nel metrò vennero tolte le lampadine: “Tanto le rompono”. Nelle scuole a volte mancavano i banchi. Ho visto con i miei occhi dei bambini pranzare seduti per terra, alla mensa non c’erano tavoli. Una troupe cinematografica venne dalla Germania: “Il film è ambientato a Dresda dopo i bombardamenti alleati, dobbiamo riprendere delle macerie: qui è il posto ideale”. Chi poteva farlo se ne andò. Restarono i più poveri, che spesso non votano. E non hanno modo di far pressione su media e politici». La ricetta della signora Stuart per la rinascita del Bronx, che interessa anche molti politici di casa nostra, sulla carta è apparentemente semplice: «Il primo passo: individuare i leader locali, coloro che nella comunità hanno un ruolo importante ma non di tipo politico. Nel Bronx, abbiamo lavorato a stretto contatto con le chiese locali, congregazioni afroamericane e non. Abbiamo organizzato da una parte le persone, con una maxiraccolta di firme: 100 mila in 90 giorni. Poi abbiamo cominciato a raccogliere fondi: tra i privati e le Chiese, abbiamo contattato le banche per avere accesso al credito. Hanno capito che avremmo potuto diventare buoni clienti». Dopo una vita passata a occuparsi di edilizia pubblica a basso costo, Lee Stuart (che pure è assai critica del partito repubblicano) ha anche cambiato idea sull’ortodossia ideologica in materia di degrado urbano: «Lo Stato non può fare tutto: non può, è un’illusione. Certo ha aiutato avere più polizia nelle strade per ridurre il crimine. Ma ci vogliono anche le organizzazioni non-profit , le mobilitazioni dei comitati di cittadini. Le dirò quella che tra moltissimi miei colleghi è una bestemmia: la riforma del Welfare, nel Bronx ci ha aiutato. Chi, pur essendo in buona salute, aveva un sussidio ora per non perdere l’assegno mensile è stato costretto a fare lavori socialmente utili. Be’, è stato un fattore importantissimo».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA