C’è un intero universo, e pure un’avventura nautica, dentro la parola in vetta alla classifica delle più pronunciate negli ultimi giorni: recovery, che si è gemellato con fund.
Il duo Recovery-Fund, il “pacchetto di salvataggio”, che ci dovrebbe salvare dalla crisi economica, ci incalza da ogni dove e si è imposto nei nostri discorsi nella forma inglese.
Non ce ne stupiamo, visto quanto concediamo agli inglesismi, mentre sono molto seccati alcuni traduttori, che si accaniscono a far rilevare che i documenti ufficiali in italiano della Ue non usano questa versione, ma la traduzione corretta in “fondo o pacchetto per la ripresa”. Risvolto divertente della vicenda viene dalla pronuncia che ha conquistato una larga fetta di italiani, che con gusto dice “recoveri faund”, sostituendo di fatto fund (fondo, soldi) con found (participio passato di trovare, quindi trovato) e lanciando così un metamessagio di soddisfazione: finalmente, sembrano sottintendere, abbiamo trovato the recovery, la ripresa!
Ma recovery, con buona pace dei funzionari di Bruxelles e degli economisti, è termine più denso della sola ripresa. Ripercorrendo a ritroso l’evoluzione della parola, dall’inglese si arriva all’anglo-normanno recoverie, e risalendo ancora spunta l’antico francese recovrer, e poi più indietro ancora si atterra sul latino recipio (re-capio).
“Il latino è vivo, siete voi che siete morti”, scrivono sui muri i “classicisti sovversivi”, e in effetti quella lingua-morta aiuta ancora.
Recipio indica l’atto di ri-prendere, ri-tirare. Di qui il mettere in salvo, perfino liberare. Ma ispezionando ancora lo spettro di questo verbo si giunge al significato di recuperare, riconquistare. Cesare lo usa per chiamare la “capacità di riaversi”, di ripigliarsi. Ma non è finita: recipio significa anche ammettere, tollerare. Ricorre al nostro verbo Cicerone, quando scrive che “la virtù non ammette l’incostanza”. E un altro uso ancora di recipio apre all’impegno: garantire, promettere. Livio lo usa per dire “impegnarsi a restituire il denaro”. Insomma alla voce recipio il vocabolario latino evoca i fotogrammi della cronaca del recente summit europeo. Fino alla declinazione più speranzosa: recipio/recovery come ripresa, ripartenza.
Qui si aggancia l’avventura nautica di cui sopra. Bisogna tornare un po’ indietro nel tempo, alla Royal Navy del 1700, audace nella ricerca di nuovi continenti, e all’esploratore e cartografo James Cook. Nominato comandante del brigantino Endeavor nel 1768, Cook si spinse per migliaia di miglia in mari inesplorati, disegnò mappe con acribia, scoprì nuove isole e per primo accostò l’Australia.
Ma al di là dei suoi traguardi geografici, Cook con le sue carte ci ha consegnato delle istantanee speciali su come può avvenire una ripartenza, su quel che accade a chi ha la responsabilità di una nave che finisce tra iceberg e coste di ghiaccio. Su come il saper governare il desiderio di andare sempre oltre un certo limite, oppure valutare di tornare indietro per prudenza sia il tratto distintivo di chi sa scoprire nuove terre.
Il latino è vivo, siete voi che siete morti
Classicisti Sovversivi
Tra tutte le leggende che si raccontano su di lui, ne splende una. Durante una spedizione l’Endeavor si incagliò nella Barriera Corallina, lo scafo si danneggiò gravemente, mettendo a rischio la vita dell’equipaggio. Cook allora convocò tutti e chiese di gettare a mare tutto ciò che non era essenziale, comprese botti di rhum e bibbie. Ma non bastò, la nave non si schiodava. Non si era reso conto il capitano che erano rimasti a bordo i cannoni, quasi non li vedeva più come oggetti distinti dalla nave. Appena realizzò la cosa, decise di liberarsene. E il brigantino ripartì.
Alleggerito dagli strumenti di difesa e di attacco, l’Endeavor poté raggiungere un porto per riparare lo scafo e riprendere spedito la sua rotta.
Cook sperimentò quanto rapida può essere la ripartenza di chi non si consuma nella difesa o nell’attacco vedendo nemici ovunque, ma si concentra sull’essenziale.
Sul bene dei marinai, sull’obiettivo di una nuova scoperta.
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