Mondo
Il Re del Marocco propone “una visione africana comune” sulle migrazioni
Approfittando della recente re-integrazione del Marocco nell’Unione Africana, il re Mohammed VI ha proposto durante il Summit dell’istituzione panafricana in corso ad Addis Ababa l’adozione di “una visione comune africana” sui flussi migratori per combattere i drammi che si moltiplicano nel Sahel e nel Mediterraneo.
“Migliaia di giovani africani tentano clandestinamente di raggiungere la riva nord del Mediterraneo, alla ricerca di una vita migliore, con tutti i rischi che conosciamo. Può la loro mobilità diventare un’emorragia? No, al contrario, spetta noi gestirla per farne un valore aggiunto”. E’ quanto ha dichiarato il Re del Marocco, Mohamed VI, in un discorso letto dal suo rappresentante permanente presso l’Unione Africana, Moulay Rachid, durante il Summit dell’UA che si sta svolgendo ad Addis Ababa.
Di ritorno sulla scena politica continentale in seguito alla sua reintegrazione nell’Unione Africana nel gennaio 2017 – la monarchia marocchina si era ritirato dall’UA nel 1987 dopo la decisione presa dall’istituzione panafricana di riconoscere la Repubblica Saharoui -, il Marocco intende assumere la leadership africana sulle questioni migratorie.
“Ho l’intenzione di sottoporre [all’UA] un contributo fondato sulla necessità di sviluppare una visione africana comune sulla migrazione e le sfide che rappresenta”, ha sottolineato Mohammed VI, chiedendo ai capi di Stato e di governo di “lavorare insieme per elaborare un’agenda africana su questa tematica”. La sfida si annuncia in salita. L’Unione Africana non sembra essere particolarmente sensibile alle tragedie che continuano a moltiplicarsi nel Sahel e nel Mediterraneo. Lo attesta l’agenda di questo 29° Summit, tutta incentrata sulla sicurezza, i giovani e, soprattutto, la riforma e l'autonomia finanziaria dell'UA (sostenuta al 50% da donatori non africani).
Migliaia di giovani africani tentano clandestinamente di raggiungere la riva nord del Mediterraneo, alla ricerca di una vita migliore, con tutti i rischi che conosciamo.
Mohammed VI, Re del Marocco
Da paese di transito a paese di destinazione
Nel frattempo, c’è da chiedersi se il Marocco ha i numeri per assumere una leadership africana sulle migrazioni. Dopo le accuse rivolte da numerosi organizzazioni di difesa dei diritti umani per i metodi repressivi adottati in passato ai danni dei migranti, negli ultimi anni il Marocco, su impulso del Re, ha operato una svolta nelle sue politiche migratorie. Lo dimostra la decisione presa da Mohammed VI nel dicembre 2016 di procedere ad una seconda ondata di regolarizzazione per 25mila migranti in situazione irregolare. Questa nuova politica “risale al 2014, se non al 2011 con la riforma costituzionale che afferma le radici multiculturali africane” della società marocchina e “instaura un’uguaglianza di trattamento tra marocchini e africani”, ha affermato in una recente intervista Mehdi Alioua, presidente di Gadem, un gruppo anti-razzista di difesa e di accompagnamento degli stranieri e dei migranti. “Il Marocco ha preso coscienza che non è più un paese di transito”, ha aggiunto. La decisione presa da Mohammed di regolarizzare decine di migliaia di migranti coincide con “la volontà del paese di trasformarsi in uno Stato di diritto e di aprirsi al resto dell’Africa”.
La decisione presa da Mohammed di regolarizzare decine di migliaia di migranti coincide con la volontà del paese di trasformarsi in uno Stato di diritto e di aprirsi al resto dell’Africa.
Mehdi Alioua, presidente di Gadem, un gruppo anti-razzista di difesa dei migranti
In occasione della Giornata mondiale per i rifugiati celebrata il 20 giugno, il rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) a Rabat, Jean-Paul Cavalieri, ha ricordato che il Regno accoglie ufficialmente più di 5mila rifugiati (di cui 3.500 siriani) e oltre 1900 richiedenti asilo. “La strategia nazionale d’immigrazione e di asilo ha registrato alcuni successi”, special modo nel diritto di accesso al mercato del lavoro e della formazione professionale concesso ai rifugiati.
Rimane tuttavia in sospeso l’adozione della riforma sulle migrazioni da parte del governo e del parlamento marocchini. “Quella adottata nel 2003 all’indomani degli attentati terroristici di Casablanca e tutt’ora in vigore è liberticida”, sostiene Medhi Alioua. “Confonde i migranti con i terroristi. Va cambiata”. E per coloro che sono riusciti ad ottenere un titolo di soggiorno, l’integrazione nella società marocchina non è scontata. Secondo una ricerca condotta dall’Università internazionale di Rabat e pubblicata nel dicembre 2016 dalla Fondazione Konrad Adenauer Stiftung – “Migrants subsahariens au Maroc : enjeux d’une migration de résidence” – su oltre 1.400 persone in attesa di regolarizzazione, il 67% dichiara di voler rimanere in Marocco anziché provare a raggiungere l’Europa, ma oltre la metà si dice delusa dal proprio livello di vita e dalla mancanza di opportunità nel mercato del lavoro. Il profilo medio dei migranti interrogati – in maggioranza ivoriani (21,5%), senegalesi (20%), camerunensi (15%) e guineani (13%) – è quello di un uomo giovane (circa 28 anni) e celibe, con origini urbane e un buon livello di istruzione.
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