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Il re dei poveri che non vuole la democrazia

Il bilancio dei primi 10 anni di regno di Mohamed VI

di Joshua Massarenti

Il 23 luglio 1999, Mohamed VI succedeva a suo padre Hassan II all’età di 35 anni. Il 30 luglio veniva intronizzato alla guida di un regno segnato da trent’anni di autoritarismo monarchico. Dieci anni dopo, che cos’è diventato il Marocco? Il bilancio di colui che viene soprannominato dai marocchini M6 o “re dei poveri” è contrastato. Se è vero che il paese maghrebino ha registrato progressi enormi sulla via della modernizzazione economica, ma molti suoi cittadini, ansi “soggetti”, continuano a vivere sotto la soglia minima di povertà. Vita.it (con Afronline) ha voluto tracciare un bilancio con la Presidente dell’Associazione marocchina dei diritti umani, Khadija Ryadi.


Centinaia di persone sono scese in strada per festeggiare Mohamed VI. Lo ha fatto anche lei?

No, non ho mai partecipato a festeggiamenti popolari di questo genere e di certo non lo farà nei prossimi giorni, per il semplice motivo che non d’accordo con quello che è stato fatto in questo ultimo decennio.

Perché?

Per tanti motivi, il primo dei quali è l’assenza di democrazia reale in Marocco. La speranza di instaurare uno Stato di diritto era implicitamente legata a una vasta riforma costituzionale, cosa che purtroppo non è accaduta. Nel nostro paese non c’è separazione dei poteri tra politica e religione, la giustizia non è indipendente e il governo continua a sottrarsi al dovere di attuare gli impegni presi dal Marocco a livello internazionale sulla questione dei diritti umani. Da anni chiediamo che le leggi nazionali si allineino su quelle internazionali, ma il regime non ci ascolta. Basti pensare all’uguaglianza tra i sessi. Ancora oggi, il codice penale autorizza uno stupratore a sposare una sua vittima minorenne se dietro c’è il consenso del padre o del fratello della ragazzina stuprata. Secondo lei è possibile festeggiare con una violazione cosi’ flagrante dei diritti delle donne e dell’infanzia?

Eppure all’estero sono unanimi nel riconoscere a questo sovrano il suo ruolo chiave nella modernizzazione del paese…

La realtà è molto più complessa, e nel contempo preoccupante. Negli ultimi anni, nonostante il Pil pro capite sia raddoppiato, il Marocco è sceso dal 124mo al 127mo posto nella classifica dello sviluppo umano delle Nazioni Unite. Questo significa che la modernizzazione economica del paese è andata a beneficio di una piccolissima minoranza di marocchina che si è arricchita sulle spalle della massa.

Non ci sono proprio cambiamenti sociali positivi?

Sulla carta si’, nella realtà no. Il codice della famiglia, ad esempio, è rimasto al centro di un’importante riforma che pero’ non mai stato applicata nella vita quotidiana delle donne. Oggi in Marocco la violenza contro le donne rimane un flagello nazionale. Nel 2007, il governo aveva annunciato in pompa magna la nascita di una nuova era per promuovere la cultura dei diritti, ma si è rivelato un buco nell’acqua. Il destino dei diritti è stato posto tra le mani del Centro di documentazione e di informazione, un’entità piccolissima legata al Consiglio consultativo dei diritti umani. Per l’appunto, ha consultato e basta. Tutti questi annunci senza seguito ci hanno fatto capire che il governo non voleva fare altro che ricevere gli applausi della Comunità internazionale, ma è solo fumo negli occchi.

La società civile marocchina è stata all’altezza di tutte queste sfide?

Si’ e no. Si’ perché negli ultimi dieci anni c’è stata un’evoluzione molto importante. Se prima si tendeva a lavorare ognuno per conto suo, oggi le organizzazioni tendono sempre più a formare alleanze per portare avanti battaglie molto mirate. Penso ad esempio alla collettivo contro la pena di morte oppure l’alleanza per l’indipendenza della giustizia. Insomma, alla rete non c’è alternativa. Perché è l’unico modo per sconfiggere un altro ostacolo enorme per l’affermazione dei diritti umani e civili: l’impunità. Ma c’è una speranza: ormai anche nei posti più remoti del Marocco la gente sta prendendo coscienza dei propri diritti. Qua e là spuntano manifestazioni e contestazioni spontanee. Il più grande pericolo che vedo in movimenti di questo tipo e nel mondo associativo è il tentativo di recupero politico da parte del governo. Quando è stato lanciato l’Iniziativa nazionale per lo sviluppo umano, il governo ha incoraggiato molti individui a creare associazioni per avere dei fondi e ostacolare la crescita di quelle più serie e temute.


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