Non profit

Il progetto Emergency a convegno

Tassi di mortalità molto bassi, tecnologie avanzate, e tanta passione civile

di Chiara Daneo

ROMA – E’ intorno a un tema delicato e molto dibattuto nella cooperazione internazionale quale quello della sostenibilità degli interventi (anche in campo sanitario) che si è svolto oggi a Roma nella sala Capitolare del Senato il convegno promosso da Emergency “Gratuità e qualità delle cure: il progetto EMERGENCY”. 

Numerosi i relatori presenti, oltre a membri storici dello staff medico della Ong  (tra gli altri Gabriele  Risica per la cardiochirgia, Michele Usuelli per la pediatria e  Marco Garatti, quest’ultimo rilasciato dopo l’arresto in Afganistan poche settimane fa) anche Maurizio Bonati (Istituto Mario Negri, Milano) Lucio Parenzan (I.H.S. Internazionale Heart School J.W.Kirklin) Gianni Tognoni (Consorzio Negri Sud) e  Enrico Materia (Cooperazione Internazionale Lazio) impegnati in una tavola rotonda dal titolo: “Costo/efficacia: parametro efficiente? Come si misura la sostenibilità dell’intervento nei paesi poveri?”

Alla base del convegno l’idea promossa dalla ONG, attraverso l’esperienza del centro Salam di cardiochirurgia in Sudan, di riportare al centro dell’attenzione dei governi, ma anche della cooperazione internazionale e dei donatori, l’individuo – paziente con i suoi bisogni sanitari superando il concetto di una sanità  esclusivamente di base e lanciando la necessità di realizzare una reale cooperazione tra gli stati africani sulla base di principi e pratiche comuni.

Per questo, già nel 2008, i rappresentanti della sanità di 8 paesi africani  si erano riuniti su invito della ONG a Venezia  e avevano firmato un manifesto per una medicina basata sui diritti umani. A questi si è aggiunto quest’anno il Ciad nell’appello ai grandi donatori internazionali per implementare l’ANME Rete Sanitaria d’eccellenza in Africa (Oltre al Ciad Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Repubblica Centrafricana, Rep. Democratica del Congo, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Uganda).

Mentre si tirano dunque le somme sul centro Salam, progetto “pilota”  intorno al quale questi stati africani sono stati chiamati a discutere di sanità e di diritti alla cura, si scoprono dei dati soprendenti a tre anni dall’inizio delle attività. E non solo clinici.

Sorprendente il tasso di mortalità in questo centro chirurgico, più basso di quello dello stato di New York (3,30% contro dati assimilabili al 4,43%). La struttura inoltre possieda uno dei sistemi di raffreddamento più avanzati e sostenibili al mondo  (con uno dei pannelli solari più estesi mai costruiti che consente di operare a cuore aperto mentre all’esterno dell’ospedale è in corso una tempesta di sabbia). Altrettanto sorprendente come paesi ostili o in conflitto siano riusciti a sedersi allo stesso tavolo con l’obiettivo di costituire una rete per una sanità gratuita e di qualità e che alcuni pazienti operati al Salam si siano riuniti in un’associazione con l’obiettivo di stimolare i propri governi su temi come l’importanza di una sanità di qualità e gratuita.

D’altra parte non sono mancate le obiezioni al modello Emergency, soprattutto in Sudan: perché un costoso centro di cardiochirurgia in un paese in cui il 40% di bambini muore ancora di diarrea e di malattie facilmente guaribili?

A questo dibattito posto da Enrico Materia (Cooperazione internazionale Lazio) una risposta netta di Bonati: (una ONG non è chiamata a fare progetti di sostenibilità e di pianificazione che spettano alla politica ma deve invece mettere le proprie capacità ed esperienze al servizio di che ne ha  bisogno) e una di Gianni Tognoni che taglia corto:  tutti i progetti sanitari al mondo sono insostenibili. Anche quelli europei. Non si pratica la sanità perché è sostenibile ma perché ogni uomo ha diritto di essere curato. E concludendo: La sanità ha bisogno di “simboli in avanti”: come il Centro di Cardiochirurgia Salam.


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