Welfare

Il profit a caccia di anziani

Negli ultimi dieci anni è triplicata la presenza di Spa nella gestione delle le residenze sanitarie assistenziali. Nello stesso periodo raddopiata anche la presenza delle non profit. l'indagine dell'Auser.

di Francesco Agresti

Il profit a caccia degli anziani, meglio se non autosufficienti. Negli ultimi dieci anni è triplicata la presenza di imprese, in particolare delle società per azioni, nella gestione delle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali. Negli ultimi tre anni, anni di crisi, le quattro maggiori società profit hanno visto crescere i loro utili del 150%, da 765 a 1,9 milioni di euro. In un settore in cui il personale non sempre è adeguatamente inquadrato, la carte dei servizi sono ancora poco trasparenti e le liste d’attesa sempre più lunghe.
I dati sono contenuti nell’indagine nazionale sulle Rsa,  realizzata dall’Auser (vedi allegato) e presentata questa mattina a Roma.

«Sono molte, troppe le criticità che ancora emergono in questo settore», sottolinea Michele Mangano, presidente dell’Auser. A partire dai posti disponibili. Gli anziani non autosufficienti in Italia sono 3,5 milioni. Gli ultra 65enni ricoverati in residenze sanitarie assistenziali sono l’1,8% contro una media Ue del 5%, quelli assistiti a domicilio sono il 3,6% contro una media Ue del 7%.
Le Rsa in Italia sono circa 3mila con un’offerta di circa 240 mila posti letto contro un fabbisogno stimato dalla Commissione nazionale per la definizione dei Lea di poco meno di 500mila. L’adeguamento dell’offerta di servizi alla domanda creerebbe 400mila nuovi posti di lavoro. Negli ultimi dieci anni la presenza del pubblico è scesa dal 70 all’11%, soprattutto a seguito della trasformazione delle Ipab. Nello stesso periodo il non profit è riuscito a raddoppiare la sua presenza nella gestione delle Rsa ma il profit, allettato dai margini, ha addirittura triplicato il numero di imprese che si dedicano alla gestione delle residenza sanitarie.

La differenza tra la domanda e l’offerta continua a pesare sulle famiglie il cui unico sostengo pubblico resta l’indennità di accompagnamento, almeno finché anche su queste non cadrà la mannaia del governo Monti.

Non solo i posti sono meno della metà di quelli che servirebbero ma il loro costo continua ad aumentare come conferma Francesco Montemurro, direttore Ires “Lucia Morosini”, «abbiamo esaminato le rette di un campione di 1.280 Rsa, nel periodo tra il 2007 e il primo semestre del 2012 si è avuto un incremento  del 18,5% per le rette minime e del 12,8% di quelle massime. A giugno del 2012 il costo che mediamente ciascun ospite ha sostenuto è stato di 52 euro per la retta minima e di 60,5 per quella massima, somme a cui occorre aggiungere il contributo pubblico». Gli aumenti maggiori si registrano nelle Rsa di Campania, Lombardia, Sicilia  e Piemonte.

A entrate in crescita non sempre corrisponde un aumento della qualità del servizio. Tra il personale si registra un massiccio riscorso alle esternalizzazioni, e tra gli occupati quelli inquadrati come infermieri professionali sono una esigua minoranza. Altro punto dolente sono le liste di attesa. Ve ne sono in quasi la metà delle Rsa con tempi che vanno dai 90 ai 180 giorni con il picco di 11 mesi nel Lazio. Criticità si registrano infine sulla carte dei servizi che ha nella maggior parte delle Rsa una funzione di mero adempimento burocatico, c’è perché imposta altrimenti se ne farebbe volentieri a meno.

«Il quadro che emerge è piuttosto preoccupante», aggiunge Mangano. «Negli altri Paesi Ue sono state costruite delle reti tra le istituzioni che si prendono cura dei non autosufficienti che garantisce servizi quantitativamente qualitativamente superiori a quelli che riusciamo a erogare nel nostro Paese a causa dei continui tagli e della mancanza di una legge quadro sulla non autosufficienza che continua così a gravare sulle spalle e sulle tasche delle famiglie».

Insieme all’indagine l’Auser ha messo a punto un decalogo (anche questo in allegato) su come scegliere una Rsa.

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