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Il profeta dei non appartenenti

In una corrispondenza privata, Giuseppe De Rita ricorda il padre servita e l'amico

di Giuseppe De Rita

Una lettera scritta
a Bonomi appena avuta la notizia
della morte
di padre De Piaz.
«Ha guardato sempre a chi era fuori
degli accampamenti
della Chiesa»Caro Aldo, stanotte ho tardato a dormire, ho pensato a lungo a Camillo e alla sua morte, senza dolore ma non per questo senza solitudine.
Nelle filiere delle storie personali, siamo noi i gestori dei ricordi: la mia filiera con Camillo comincia una mattina di fine giugno 58, alla chiesa di Santa Prisca a Roma, funerali di Giorgio Sebregondi: Camillo a dir Messa, Davide a predicare con la sua voce di tuono. Io ero arrivato la sera prima dall’Iran, dopo tre mesi di campo, ed ero annichilito dalla improvvisa, inattesa morte di Sebregondi (mi aveva dato una pacca sulle spalle a Ciampino, prima di partire, con un «vedrà, andrà tutto bene» che è ancora il mio viatico); non connettevo quindi molto, ma quei due omoni mi colpirono molto.
Ci sentii un pezzo dell’eredità di chi mi aveva creato al lavoro, un’eredità di cui non conoscevo gli anfratti ambrosiani, resistenziali, “cattocomunisti”, di tensione umana e religiosa. Solo dopo seppi che era stato Camillo a contrattare con i tedeschi la liberazione di Fulvia dal carcere e che veniva da lontano il fatto che fossero Camillo e Davide a celebrare i funerali. Erano i protettori segreti della casa, e lo sono rimasti anche in successive occasioni, come sa chi conosce quanto Davide sia stato vicino per anni a Fulvia e quanto Camillo sia stato attivo (l’aggettivo è ridicolo pensando alla sua pigrizia inveterata) nella sfera degli amici mitterrandiani per garantire che Paolo non fosse estradato a scontare il suo ergastolo. (?)
Ma, mi veniva da pensare stanotte, Camillo non era stato solo una grande garanzia delle appartenenze. Camillo era anche e soprattutto un profeta dell’attenzione ai non appartenenti; ho riletto il Vangelo della Messa di ieri: «C’erano molte vedove in quel tempo in Israele, ma Elia fu mandato alla vedova di Zarepta di Sidone; c’erano tanti lebbrosi in quei tempi in Israele, ma Eliseo fu mandato a Naam il Siro»; i profeti non vanno a chi ha già appartenenza, ma a chi ne è fuori. Per Camillo è stato così, ha guardato sempre a chi era fuori degli accampamenti recintati della Chiesa, delle città, della comunità; sarebbe bello recitare quel Vangelo in sua morte, perché egli ha pensato ai popoli fuori giuoco ed ha vissuto con uomini ai margini del giuoco. Qui sta la sua eredità esplicita, ed io che di lui ho eredità implicita e silenziosa, da “appartenente”, credo che sono tanti coloro che vivranno della sua eredità di profeta, tante vedove di Zarepta di Sidone, tanti Naam siriani.


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