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Il Prodi due inaugurato dal Prodi uno
I Fondi per le politiche sociali rischiano la paralisi. Colpa di due articoli del Titolo V approvato dieci anni fa
di Redazione
Fra le espressioni totem frequenti nell?attuale dibattito politico, quella forse meno gettonata è ?riforma costituzionale?. Un po? perché con la vittoria del No al referendum è passata l?idea (errata) che in questo ambito tutto fosse risolto. Un po? perché sembra qualcosa di molto astratto. Così però non è: la riforma del Welfare, di cui tanto si parla, sarà possibile solo se si rimedierà a quello che molti definiscono ?caos istituzionale?.
Lo possiamo riassumere così: secondo la (interrupta) riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni sono competenti per alcune materie e sono autonome finanziariamente; ciò nonostante si continuano a prevedere – ad esempio in Finanziaria – forme di finanziamento di tipo settoriale. «Forme che non hanno alcuno spazio nel dettato costituzionale», conferma a Vita Paolo Bosi, professore di Scienza delle finanze all?università di Modena.
Vita: In che senso?
Paolo Bosi: Il Titolo V stabilisce un decentramento ampio con modello di tipo programmatorio, con finanziamenti generali che devono coprire le esigenze degli enti locali. Ai quali spetta il compito di gestire le risorse. È impensabile un Fondo nazionale sanitario, o per le politiche sociali o per la non autosufficienza: continuare a pensare in termini di fondi nazionali non è coerente, dato che la competenza non è più statale? Insomma c?è un conflitto fra l?articolo 117 e il 119. Allo Stato il compito di coordinamento e di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che poi gli enti locali dovranno realizzare.
Vita: Ferrero li sta scrivendo?
Bosi: Sì. Per la parte sanitaria la definizione dei livelli essenziali è ormai consolidata. Più complesso il ragionamento per le prestazioni sociali. La non autosufficienza, l?assistenza domiciliare, le politiche sui minori? E qui c?è una disomogeneità notevole, come ha dimostrato l?indagine Istat 2005 documentando differenze enormi per spesa procapite fra le Regioni. Inoltre occorre chiedersi: qual è il grado di diritto che i cittadini hanno di fronte a queste prestazioni? Si parla oggi di diritti esigibili. Qualcosa a metà strada fra il diritto soggettivo e l?interesse legittimo. Il punto fondamentale è che il cittadino abbia qualcosa di più che una vaga promessa di una prestazione.Vita: Ma come si è potuti arrivare a questa situazione?Bosi: La confusione nasce dal fatto che la riforma del Titolo V è uno degli ultimi atti del primo governo Prodi. Avrebbe richiesto un attività intensa di legislazione ordinaria, ma ci sono state le elezioni. Con Berlusconi su questo terreno non è stato fatto assolutamente nulla. Si è avuta semmai un?ulteriore spinta verso la devolution ma il referendum ha fermato tutto. Adesso il mondo politico fa finta che questo problema non ci sia?
Vita: In effetti il completamento della riforma non sembra nell?agenda politica.
Bosi: So che è stata istituita una commissione sul federalismo fiscale; un?altra presieduta dal professor Giarda dovrà definire l?impianto normativo per dare attuazione al Titolo V.
Vita: Quali le tappe? E i tempi?
Bosi: Almeno un paio d?anni. Immagino che prima si debba procedere a un completamento della riforma risolvendo il conflitto fra gli articoli 117 e 119. Poi si dovranno definire i livelli essenziali, operazione di una difficoltà incredibile, infine chiarire se esisteranno o meno dei canali appositi di finanziamento. Se c?è un unico finanziamento di tutta l?attività della Regione, prevedo un contenzioso forte fra Stato e Regioni ma anche una grande difficoltà di articolare le risorse nei diversi segmenti e quindi di tutelare quei segmenti che sono più deboli. Ad esempio la spesa assistenziale è spesso fagocitata da quella sanitaria?
Vita: Questa può essere una delle ragioni del mancato decentramento sanitario?
Bosi: Non c?è dubbio. Occorrerebbe un atto di indirizzo per ripartire le spese fra la componente sanitaria e quella assistenziale, andando verso l?integrazione socio-sanitaria per poi implementare strutture per la sanità cosiddetta leggera, per i trattamenti di post acuzie. In caso contrario queste spese continueranno a pesare sulle famiglie che però non sono in grado di sostenere costi di 800, mille euro al mese. La Finanziaria ha investito tanto sul cuneo fiscale. Certamente sarebbe stato molto meglio fiscalizzare gli oneri sociali.
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