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Il processo di pace del 2005? Senza confini certi è al capolinea

rosalind marsden, rappresentante dell'unione europea

di Joshua Massarenti

«Mancano meno di cento giorni alla data del referendum in Sud Sudan e molto rimane ancora da fare. Se non ci sarà una svolta nelle prossime settimane, la situazione rischia di diventare molto difficile». In funzione dal primo settembre, la Rappresentante speciale dell’Unione Europea in Sudan, Rosalind Marsden sa che il Paese più vasto del continente africano rischia di andare dritto contro un muro. E non solo per via dei ritardi colossali nell’organizzazione.
Vita: Molti temono che la data del referendum in Sud Sudan non venga rispettata. E se lo sarà, il rischio di un voto irregolare sembra scontato?
Rosalind Marsden: Un voto trasparente che rispetti i tempi prefissati è una conditio sine qua non per portare a termine il processo di pace avviato nel 2005. Ma i dubbi rimangono.
Vita: Elenchiamoli?
Marsden: Le procedure di registrazione degli elettori inizieranno soltanto il 15 novembre. Questo ritardo rischia di compromettere l’esito di un referendum condizionato dalla necessità di raggiungere un quorum pari al 60% degli aventi diritto. Ci sono poi gli accordi post referendari, determinanti per il successo del referendum e su cui l’élite nordista del presidente Omar al-Bashir e i sudisti si stanno ancora confrontando. Con la probabile vittoria del sì all’indipendenza, il Nord teme di perdere il controllo dei giacimenti petroliferi. Da cui l’importanza delle trattative in corso sulla demarcazione delle frontiere tra i due territori, un problema che andrebbe risolto prima del voto. L’altra grande questione riguarda la protezione dei tre milioni di cittadini del Sud residenti nel Nord Sudan, e quella dei nordisti che vivono nel Sud. Difendere la loro incolumità è fondamentale per scongiurare il rischio di un ritorno alla guerra civile.

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