Scuola

Il problema non è la Bibbia, ma la rinuncia alla interdisciplinarità

Il ministro Valditara ha svelato i contenuti delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione. Tra le novità ci sono l’inserimento facoltativo del latino, l’abolizione della geostoria, il maggior spazio allo studio della storia dei popoli italici. Ma cosa c'è di veramente nuovo nella proposta? In dialogo con il pedagogista Italo Fiorin

di Rossana Certini

Giuseppe Valditara

«Perché sono state presentate come nuove proposte delle indicazioni che sono già presenti nella scuola italiana?». Questa la domanda che si pone Italo Fiorin dopo che il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha anticipato i contenuti delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione, messe a punto da una commissione di esperti coordinata da Loredana Perla e che dovrebbero essere introdotte dall’anno scolastico 2026-27. Fiorin, pedagogista, presiede la Scuola di alta formazione Educare alla solidarietà e all’incontro – Eis della Lumsa di Roma ed è stato il coordinatore della commissione che ha steso le indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione nel 2007 e presidente del Comitato scientifico nazionale delle Indicazioni nazionali nel 2012. La sintesi giornalistica del “Dio, patria, Bibbia e latino” con lui non tiene, ma pure a lui sfugge la preoccupazione che «le “nuove” indicazioni avessero solo l’intento di imprimere alla scuola una direzione nazionalistica e nostalgica».

Proposte interessanti ma non nuove

Tra le novità annunciate dal ministro c’è l’inserimento del latino nel curricolo a partire dalla scuola secondaria di primo grado, l’abolizione della geostoria, la centralità dello studio della letteratura italiana, filastrocche e grammatica alla primaria, più spazio alla storia e ai popoli italici.

«Fino ad oggi», prosegue Fiorin, «nulla ha mai vietato agli insegnanti di introdurre letteratura e racconti nelle classi della scuola dell’infanzia. Perfino il latino può essere già inserito nei programmi scolastici del primo ciclo. Tra i temi annunciati dal ministro ci sono proposte interessanti, che però non sono nuove. E ce ne sono altre che si auspica non siano così come appaiono dalle parole di un’intervista».

Abolizione della geostoria o dell’interdisciplinarità?

Per quanto riguarda l’abolizione della geostoria, per esempio, Fiorin osserva che «non è chiaro a cosa si riferisca il ministro, visto che già oggi nel primo ciclo geografia e storia sono due materie distinte. La materia geostoria non è presente nel primo ciclo, ma solo alla secondaria di secondo grado. Viene allora il dubbio che il ministro si riferisca all’approccio interdisciplinare tra storia e geografia». E allora sì che Fiorin vede un problema: «Valditara ci sta dicendo che si prevede un ritorno all’insegnamento di una geografia descrittiva solo del territorio? Perché questo è un approccio ormai superato. La geografia moderna deve necessariamente presentare il paesaggio nell’interazione con l’uomo. Conoscere il deserto in sé ha poco significato. Invece, conoscere le condizioni umane che questo paesaggio desertico genera è un modo contemporaneo di trasmettere la geografia, che però non può prescindere dalla storia». Il timore allora è che si stia immaginando il superamento dell’approccio multidisciplinare, orientato al dialogo tra le discipline, a favore di una semplificazione della didattica che – sottolinea Fiorin – «nei fatti è una frammentazione che riporterebbe la scuola indietro di anni».

Un altro tema che si legge in filigrana nelle parole del ministro è quello della cittadinanza che, osserva Fiorin, «sembra essere ancorata all’italianità. Ma nella realtà del quotidiano la cittadinanza è mondiale o addirittura planetaria. Voglio dire che oggi esistono cittadinanze interconnesse, che hanno il grande valore di consentire di condividere le responsabilità individuali verso la comunità che abita il nostro pianeta. Quindi non è la presenza del tema della cittadinanza nelle parole del ministro a preoccupare ma, nuovamente, come il tema è posto».

Nel nostro sistema scolastico, che riconosce l’autonomia degli istituti, le indicazioni nazionali hanno la funzione di essere il riferimento per la programmazione di ogni singolo docente. L’insegnante, spiega Fiorin, «è un professionista che – guidato dalle Indicazioni nazionali – stila il programma per la sua classe tenendo conto anche del contesto territoriale. Trovo, quindi, improprio che le indicazioni nazionali, così come descritte dal ministro, entrino nel dettaglio della didattica, invitando per esempio ad imparare a memoria poesie e filastrocche. Per non parlare del fatto che questi sarebbero metodi di insegnamento che appartengono al passato».

Testi sacri non come appartenenza, ma come riflessione

Sul tema della conoscenza della Bibbia inteso «come testo della nostra tradizione, che tra l’altro ha ispirato numerose opere di letteratura, musica, pittura e influenzato il patrimonio culturale di molte civiltà» (sono parole della sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, che fa parte della Commissione che sta definendo le Indicazioni nazionali) Fiorin osserva che «ovviamente non c’è nulla di sbagliato nell’introdurre testi di natura religiosa che sono, anche, di rilevanza culturale e letteraria. Il problema è, anche questa volta, il modo in cui viene presentata l’introduzione dei testi biblici. Sembra una proposta che ha l’obiettivo di affermare l’identità e l’appartenenza specifica. Invece avremmo bisogno di far leggere ai nostri ragazzi diversi testi religiosi per confrontarli, riflettere e lavorare insieme per superare le differenze».

Infine conclude Fiorin: «la sensazione è che nelle parole del ministro il grande cambiamento sia quello di un ritorno a una visione nazionalista. Ma attendiamo di leggere il documento ufficiale».

In foto, il Ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara in occasione di ‘Atreju 2024 – La via italiana”, foto Mauro Scrobogna / LaPresse

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