Cultura

Il privilegio della polvere

La casa è un feticcio. Lo scrittore Michele Mari parla delle proprie case, quelle dove ha trascorso lunghi periodi durante l’infanzia, e lo fa per immagini, “per feticci”. In un racconto che si intreccia con le fotografie di Francesco Pernigo.

di Francesco Paolella

NOTA SU: MICHELE MARI E FRANCESCO PERNIGO, ASTERUSHER. AUTOBIOGRAFIA PER FETICCI, CORRAINI, MANTOVA 2015.

Come sosteneva il Ludwig di Visconti, parlando di Richard Wagner, di un artista non restano le sue debolezze, ma il suo lavoro.

Così sarà sicuramente anche per Michele Mari, il quale però, grazie alla fotografia, ci porta qui per mano nelle sue stanze, nella sua memoria più nascosta; e ci fa conoscere tanto delle sue passioni, che in certi momenti sembrano diventare ossessioni.

Questo esperimento dello scrittore, reso possibile dagli scatti di Francesco Pernigo, è una esaltazione della sua “propria privata privatissima personale proprietà”, ed è la realizzazione sana del suo narcisismo.

Il passato (le fantasie dell'infanzia, le illusioni, la paura e l'entusiasmo della giovinezza) ci forma e ci trasforma, di continuo. I nostri spazi, le case dove abbiamo vissuto, rimangono fermi, o fissandosi semplicemente nella nostra memoria, oppure rimanendo anche a nostra disposizione, come luoghi inermi, rifugi dove di tanto in tanto possiamo ritornare.

Anche nelle scatole tenute in cantina, negli armadi delle case di campagna, oppure impressa in fotografie ormai ingiallite, la nostra vita passata, tutti gli episodi e le passioni di cui inevitabilmente finiamo per vergognarci, i desideri elevati o meschini, tutto rimane presente, fermo nell'ombra, fermo nella polvere.

Mari usa qui i suoi “feticci”, le sue collezioni o più semplicemente gli oggetti che un tempo lo rappresentavano o con cui conviveva (e il cui significato non può essere che inaccessibile per noi), per costruire una specie di autobiografia.

D'altra parte, il fascino delle vite degli scrittori passa in primo luogo dalle loro case, che spesso diventano, a tempo debito, musei. Qui, in Asterusher, in primo piano ci sono ovviamente i libri, la grande debolezza di chi vive di e per le parole. Le immagini di questo libro ci presentano anzi delle vere e proprie case-libro: non vediamo soltanto pareti coperte dalle librerie, piene di volumi in edizioni antiche o economiche; né si svela soltanto il posto di lavoro costruito da uno scrittore, gli spazi scelti da lui per leggere e scrivere. Mari ci permette di vedere in che modo gli angoli delle sue case, un caminetto o una legnaia o una camera da letto, siano entrati nei suoi libri.

Ogni immagine di Asterusher si serve di una frase, spesso di poche righe: si tratta di didascalie, che spiegano un oggetto, un ambiente. Ciò non avviene però sempre. Anzi, in diversi casi, i commenti (citazioni, ricordi…) diventano o superflui oppure diventano essi stessi “illuminati” dalle fotografie.

Le case che non vengono più abitate, che rimangono chiuse a lungo, rimangono immobili, e sono sempre più fuori dal mondo. Soltanto le crepe e le macchie di umidità, la ruggine e la polvere, le animano, rendendole in qualche modo “immortali”. Tutto si secca, semmai dopo essere ammuffito e marcito lentamente. E spesso è necessario farsi forza davanti ai ricordi che ritornano, all'imbarazzo che se ne può provare, alla nostalgia e alla delusione, al rimorso.

Che effetto fa rivedere da adulti i propri giocattoli? E rientrare in stanze dove sono trascorse le ore, giorni, notti, pieni di eccitazione, di rabbia, di noia?

Cosa ci resta? E che cosa ne possiamo lasciare in eredità agli altri?

E' un patrimonio destinato a scomparire, nessuno potrà ereditarlo dopo di noi. Non resteranno che oggetti muti, spazi svuotati.

Tornando nei luoghi della mia infanzia, devo accorgermi di non essere più quel bambino allegro o triste, che pure sono io. I giocattoli o i libri di quel bambino rimangono abbandonati, sono nulla per gli altri; sono i miei fantasmi, i miei incubi restati materia.

Eppure, non è un privilegio da poco, questo, a pensarci. E', in un certo senso, il privilegio della polvere; il privilegio di poter godere della polvere che seppellisce col passare degli anni i nostri ricordi e allo stesso tempo li conserva. E' il privilegio di poter ritrovare, di tanto in tanto, le nostre passioni, i nostri affetti, come sotto una campana di vetro.

Altrimenti, tutto è affidato soltanto alla nostra memoria, sempre più inospitale, e al nostro essere più o meno inclini alla malinconia.

Immagini di Francesco Pernigo tratte dal libro di Michele Mari e Francesco Pernigo, Asterusher, Autobiografia per feticci, Corraini, Mantova 2015.

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