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Il primo avversario? L’Aids

Viaggio fra i calciatori in erba della township di Khayelitsha a Capetown. Vota il sondaggio di VITA.IT

di Emanuela Citterio

«C’è molta eccitazione fra i nostri ragazzi. La World Cup inizierà fra poco per la prima volta in Africa ed è un motivo di orgoglio per ogni singolo sudafricano, in particolare per i giovani». Siphe Dlala è un allenatore fuori da comune. Non si occupa dei grandi calciatori che scenderanno in campo per i Mondiali che cominciano domani, ma dei ragazzi della più grande township di Città del Capo, Khayelitsha.

Parla e intanto butta un occhio sul campo di erba artificiale dove due squadre da undici si stanno sfidando in un’amichevole. Anche qui c’è la Fifa, con le sue insegne sul campo e gli sponsor, ma il centro sportivo di Khayelitsha fa parte del programma sociale della federazione: Football for hope. È l’unico già  operativo, anche se la Fifa prevede di costruirne venti: cinque in Sudafrica e altri 15 in altri Paesi africani.

Inaugurato nel novembre scorso, consiste in un edificio in mattoni in mezzo alla township sede di attività educative per i giovani, in un regolare campo da calcio e in un altro campo in terra battuta. «Il centro è stato finanziato dalla Fifa ma appartiene alla città di Cape Town» ci tiene a precisare Xolani Magqwaka, 28 anni e manager di Grassroot soccer, un’ong finanziata dalla Fondazione Bill & Melinda Gates che in diversi Paesi africani promuove progetti che usano lo sport come mezzo di cambiamento sociale. L’ organizzazione che ha in carico la gestione del centro: «come se la Fifa avesse fornito l’hardware, mentre noi ci occupiamo del software» spiega Xolani in perfetto linguaggio… Microsoft.  «In questi sei mesi di esistenza del centro sono passati di qui 500 ragazzi e noi tentiamo di coinvolgerli in diversi programmi di prevenzione della droga e della violenza. Organizziamo regolarmente dei tornei junior e senior collegandoci alle leghe calcistiche che ci sono già in questa township, ma anche altri eventi sportivi, sempre usando il calcio come mezzo per far passare un messaggio. L’Aids è la sfida più grande».

A Khayelitsha si stima siano 80 mila gli adulti ammalati, in un Paese come il Sudafrica che ha il triste primato di avere più sieropositivi al mondo, circa 5 milioni e 700 mila. «Le persone non vanno volentieri nelle cliniche a fare il test per l’Hiv perché sarebbe come ammettere che possono avere un problema» afferma Xolani.  Così durante alcuni tornei creiamo per i giovani un ambiente amichevole per fare il test, accanto al campo dove si svolgono le partite. Se riscontriamo qualche caso di sieropositività li mettiamo subito in collegamento con le strutture sanitarie per iniziare il trattamento. Ma per ora ci è capitato raramente. L’obbiettivo fondamentale è incoraggiali a restare negativi e a essere responsabili dei loro comportamenti».

Accanto alle attività sportive, Grassroot soccer ha attivato un corso di citizen journalism finanziato dalla Sony. I workshop si svolgono in un’aula apposita del centro e vi partecipano sette ragazzi che hanno dovuto superare una selezione. «Le lezioni permettono loro di avere delle basi di giornalismo e fotografia» spiega Xolani. Il passo successivo che devono fare è andare nelle loro comunità per vedere quali sono i bisogni, riportando notizie e storie dall’interno della tonwship. La loro è sicuramente una prospettiva diversa rispetto a quella di qualcuno che viene dall’esterno per fare un reportage».

«La speranza – continua – è che poi queste competenze possano essere loro utili per trovare un lavoro in questo ambito». Nel campo di calcio c’è un ragazzo in maglia rossa che, nel frattempo, ha effettuato un serie di passaggi strabilianti. Saranno un centinaio i bambini che hanno circondato il rettangolo di gioco e guardano la partita. I loro miti sono qui.

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