Famiglia

Il presepe: non sono solo statuine

Una tradizione che non smette di rinnovarsi: insegnanti, giornalisti, pubblicitari, politici. Si ingrandiscono le fila di chi cerca di sfruttarlo come una bandiera di parte

di Sara De Carli

La polemica sul presepe è cosa moderna, è una novità del terzo millennio. Navigando sul web, si scopre che nel 1997 il presepe lo faceva l?86% degli italiani. Nel 2000 compaiono le prime cronache di rappresentazioni ?simboliche?: un presepe anti Mc Donald, uno ad Assisi con il bambinello nero. Il ?gran rifiuto? del presepe arriva da Lecco, frazione Germanedo, il 6 dicembre 2001: la direttrice della scuola materna decide di «non allestire il presepe per rispettare i bimbi che professano altre religioni e le loro famiglie». Da lì in poi, la storia è nota.

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Puntuale, ogni anno, i giornali snocciolano l?elenco delle scuole che, per non urtare la sensibilità di chi non è cristiano, sospendono sacre rappresentazioni e lavoretti natalizi, o cantano «virtù» al posto di «Gesù». Quest?anno Forza Italia ha fatto persino un sito, natalesiamonoi.it, dove segnalare le scuole che non celebrano il Natale e raccontare invece come la tua scuola lo festeggia. Dal 2004, ogni anno, Magdi Allam scrive per il Corriere della Sera lo stesso editoriale, dove spiega agli italiani che non lo sapessero (ma ormai lo sappiamo tutti) che anche i musulmani venerano Gesù e Maria e che nessun musulmano quindi si sente offeso dal presepe. E che anzi, in ben 25 Paesi a maggioranza musulmana il 25 dicembre è festa nazionale, le scuole restano chiuse e la gente è partecipe di questa festa cristiana.

Quest?anno la polemica ha fatto un passo in più. Avvenire e la Iadl – Islamic Anti Defamation League si sono trovati d?accordo nel dire che «il sospetto sempre più concreto è che il cosiddetto rispetto delle religioni sia solo un pretesto per mascherare fini bassamente ideologici» (il primo) e che «consentire ai detrattori della nostra religione di continuare nella mistificazione della nostra presunta avversione alla figura di Gesù è non solo stupido, ma addirittura suicida» (la seconda). Il presepe l?hanno fatto Bertinotti e Cofferati, l?han difeso Rutelli e Cacciari, la grande distribuzione l?ha usato per una guerra di marketing, e una catena che vende vestiti è riuscita a dire con vanto: «Le statuine non le abbiamo, ma siccome siamo vicini alla tradizione natalizia e al suo significato, noi abbiamo addobbi con simboli religiosi, tra cui angioletti e stelle comete». Noi. Mentre gli altri…

La sparizione degli altri

Il punto è questo. Noi e gli altri nel presepe spariscono. Nel presepe c?è posto per tutti. Per i pastori e per i re, per gli angeli e per le pecore. Sparisce addirittura la distanza abissale tra uomo e Dio. Ecco il miracolo. Restano le differenze, si annullano le distanze. Ci si arrovelleranno poi nei secoli, Nicea, la consustanzialità, il monofisismo e il monotelismo e tutti gli altri, ma all?inizio è solamente un bambino che nasce. È l?elogio, il canto, della nostra carne e della nostra umanità.

Un posto dove vivere

Per questo centrano poco la laicità, il multiculturalismo, e pure una difesa che punta tutto sulle radici culturali. Perché quando Francesco Rutelli che dice che «ridurre il presepe a frutto di una concezione clericale è una banalizzazione assurda» e Salvatore Abruzzese che c?è «un?intera generazione di insegnanti da recuperare, con un recupero laico della tradizione religiosa cristiana» non è così chiaro se i cristiani debbano esserne felici. Ma questo è un altro problema.

Intanto il presepe è l?occasione per rimettere al centro l?evento. Prendere il Bambinello, staccarlo dalla mangiatoia a cui oggi lo vendono già incollato, e deporlo nella mangiatoia alla mezzanotte. Celebrare l?incontro improvviso e incondizionato con l?altro. Il trionfo dell?umanità sul dogmatismo. Anche l?ateo Jean-Paul Sartre lo confessò: «Al presepe non ci credo. Ma ammetto che nel presepe scorgo dei rapporti interpersonali diversi. è un posto nel quale si vorrebbe vivere».


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