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Il Premio Nobel per la Pace? «La prova che i veri realisti siamo noi»
Ieri a Oslo la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace 2017 alla Campagna per l'Abolizione delle Armi Nucleari. La testimonianza di Francesco Vignarca, uno dei campaigner italiani di ICAN, che ha rappresentato la società civile italiana nella City Hall. Il discorso di ICAN: «Siamo a un bivio: la fine delle armi nucleari o la fine l'umanità»
La festa e la celebrazione sì, ma anche tanto lavoro. «Energia è la parola che caratterizza questi giorni straordinari a Oslo, abbiamo fatto tanti incontri di programmazione per l’anno prossimo, siamo felicissimi per questo Premio ma sappiamo anche che il nostro obiettivo è l’eliminazione delle armi nucleari, per questo fin da subito ci siamo focalizzati sul lavoro futuro». Così da Oslo risponde al telefono Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, all’indomani della cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace a ICAN-International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, di cui Senzatomica e Rete Italiana per il Disarmo sono partner in Italia. A Oslo, per la cerimonia di consegna del Premio Nobel, ci sono almeno 250 campaigner di ICAN, persone da tutto il mondo, in rappresentanza delle varie realtà locali che hanno supportato la campagna: «stiamo sfruttando questo appuntamento come momento di lavoro per programmare le attività, il Nobel è un riconoscimento importante, ma il lavoro da fare è ancora tanto».
Vignarca ieri ha rappresentato la società civile italiana all’interno della City Hall di Oslo, segno della grande considerazione posta dal Comitato internazionale di Coordinamento di ICAN nei riguardi del lavoro di Rete Disarmo e Senzatomica. L’unica altra italiana in sala, diplomatici a parte, era Daniela Varano, che è stata portavoce per anni di ICAN.
«Eravamo una sessantina in rappresentanza di ICAN e possiamo dire di aver trasformato la cerimonia in un momento di forte compartecipazione», sorride Vignarca. «È stato bellissimo tutto, una grande emozione, a cominciare dai tre discorsi fatti, quelli di accettazione del Premio Nobel da parte di Setsuko Thurlow e Beatrice Fihn in rappresentanza degli hibakusha, i sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki e della società civile, ma anche quello della Presidente del Comitato per il Nobel, che ha spiegato il perché del Nobel per la Pace a ICAN e ha smontato una per una le motivazioni che gli Stati hanno addotto per non partecipare ai lavori del Trattato e lo ha fatto davanti al Primo Ministro della Norvegia, che è un Paese che non ha partecipato ai lavori per il Trattato per la messa al bando. Sono tre discorsi che danno subito moltissimi materiali di lavoro», sottolinea.
Beatrice Fihn, la portavoce di ICAN, nel suo discorso in particolare ha detto che «noi non siamo idealisti, noi siamo quelli veramente realisti», sintetizza Vignarca, «perché abolire le armi nucleari è la sola scelta razionale, la nostra è la sola realtà possibile, l’alternativa è impensabile, nel futuro o ci sarà la fine delle armi nucleari o ci sarà la fine dell’umanità. “Will it be the end of nuclear weapons, or will it be the end of us? One of these things will happens”. È stato un passaggio forte ma che ha raccolto moltissimi applausi. Il futuro concreto è questo, l’eliminazione delle armi nucleari e quelli che pensano che questo futuro è impossibile, ha continuato Beatrice, “si tolgano ora dalla strada di quelli che vogliono trasformarlo in realtà”».
Il secondo discorso di accettazione del Nobel per la Pace l’ha fatto Setsuko Thurlow, una hibakusha, sopravvissuta alla giornata di Hiroshima. «È stata come sempre molto toccante, lei ha richiamato le 200mila persone morte, dicendo “vorrei che il loro spirito aleggiasse qui sopra di noi oggi”, ha raccontato quel giorno, aveva 13 anni, era a scuola e 351 suoi compagni morirono, ha ricordato come sotto macerie lei non riuscisse a muoversi ma poi qualcuno le disse “continua a muoverti piano piano, non fermarti mai” e lo stesso è quello che sta accadendo oggi, dopo settant’anni che gli hibakusga continuano a muoversi piano piano, adesso il Trattato per l’abolizione delle armi nucleari è come la prima luce che si intravede fra le macerie, è un paragone molto forte. Entrambe avuto anche parole dirette per i Paesi del cosiddetto "ombrello nucleare”, ricordando anche a questi le loro responsabilità».
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