Politica

Il potere? Buono quello non duro

Giochi e numeri che non quadrano.

di Sandro Calvani

“Nel 1987 ho suonato al primo concerto rock dell?Unione Sovietica. Ognuno dei 40mila russi presenti in piazza sapeva a memoria e in inglese tutte le canzoni che cantavamo, nonostante il fatto che i dischi di rock americano fossero illegali in Russia”. Joseph S. Nye, preside della facoltà di governo John Kennedy dell?università Harvard inizia così il suo libro sul Soft Power (potere non duro). Il termine l?ha inventato lui stesso alla fine degli anni ?80, molto tempo prima di diventare sottosegretario alla difesa del governo Clinton. Tradotto in ?forza non bruta?, ?potere debole?, ?soffice?, ?morbido?, ?mollo? e decine di altri sinonimi in varie lingue, è divenuto uno dei termini più discussi della diplomazia della sicurezza globale. Spesso è citato a sproposito e interpretato malamente o associato a qualche forma di codardìa. Contrariamente a Stalin che si chiedeva quante divisioni avesse l?esercito del Papa, il prof. Nye non ha mai suggerito il potere non duro come alternativa al potere duro della forza militare. Ha solo suggerito, per anni, decine di esempi e ragioni per cui il potere debole può essere più efficace o un insostituibile complemento alla forza militare. La sua definizione originale è semplice: «il potere non duro viene dalla capacità di attrarre e convincere, che si fonda sulla cultura, le politiche e le strategie di tolleranza di una nazione». Contrariamente alla forza militare il potere non duro non può obbligare nessun dittatore o nessuna nazione nemica a desistere da un intento bellicoso. Però chi gioca anche nella serie B o C del potere non duro gioca in campionati diversi della globalizzazione. Sono quelli dove gioca la gente comune, la società civile, le organizzazioni non governative. Per una nazione moderna non essere presente con tante e buone squadre in quei campi popolari differenti dalla serie A delle superpotenze e delle alleanze militari vuol dire autoescludersi ed essere sconfitti in molti campi della sicurezza umana a livello internazionale, compresa persino la lotta al terrorismo. Non per caso il recente rapporto della commissione del Congresso Usa sulla vulnerabilità americana ad attacchi simili a quello dell?11 Settembre ha scoperto che, perfino le forze armate dellla più grande potenza militare al mondo, non avevano investito in misure non dure. Come, per esempio, impiegare esperti che conoscano l?urdu, il farsi o l?afgano. Certo i proiettili e i bombardamenti parlano una lingua che capiscono tutti, ma i terroristi no. Sandro Calvani è un dirigente delle Nazioni Unite. Vive e lavora a Bangkok, in Thailandia. Le opinioni qui espresse non rappresentano necessariamente l?opinione dell?Onu


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