Famiglia

Il piccolo che pensa in grande

L’assemblea delle bcc 2006. I numeri record della crescita dal 1999 ad oggi

di Francesco Maggio

Detta in maniera forse un po? troppo enfatica, si potrebbe affermare che a scommettere sui valori non si perde mai. Se però guardiamo ai fatti, a quanto accaduto negli ultimi sei anni alle banche di credito cooperativo italiane, bisogna riconoscere che questa scommessa loro l?hanno vinta. Eccome. Era il 5 dicembre 1999 quando a Riva del Garda, in occasione del loro convegno ?plenario?, le Bcc decisero di stipulare formalmente un patto per lo sviluppo delle comunità locali, dotandosi di una Carta dei valori che al primo punto stabiliva il primato e la centralità della persona. E, al secondo, l?impegno «a creare valore economico, sociale e culturale a beneficio dei soci e delle comunità locali e a ?fabbricare? fiducia». Poteva allora sembrare solo un decalogo di buone intenzioni. D?altronde, di quante ?carte dei valori? negli anni a venire avremmo visto tante imprese dotarsi, salvo poi constatare che venivano disattese del tutto? Non c?era in giro, in altre parole, troppa convinzione che il credito cooperativo potesse reggere alla sfida del ?gigantismo finanziario a tutti i costi? che in quel frangente sembrava l?unica chance che avesse il sistema creditizio italiano per ?depietrificare? la foresta in cui si trovava cacciato, per usare una famosa immagine di Giuliano Amato. La foresta da ?depietrificare? E per diventare finalmente competitivo visto che già vent?anni prima, per esempio Gianni Manghetti nel suo Le banche italiane: una prognosi riservata (Feltrinelli), aveva formulato una diagnosi impietosa: «La banca italiana non sa fare più il suo mestiere. Sa raccogliere il risparmio ma non riesce ad impiegarlo per gli investimenti, ridotta a tagliare le cedole dei buoni del Tesoro e, spesso, ad ufficiale pagatore di imprese in crisi». Queste parole, lette oggi alla luce delle recenti affermazioni di Pietro Modiano, direttore generale del gruppo Sanpaolo, per il quale le banche scoppiano di liquidità ma non riescono ad impiegarla, fanno davvero riflettere. Scetticismo eccessivo Lo scetticismo sul futuro delle Bcc era motivato, tuttavia, anche da una seconda ragione. E, più precisamente, dalla circostanza che alla fine degli anni 90, l?allora apparentemente inarrestabile boom della new economy era tutto giocato sui grandi numeri, sulle quotazioni borsistiche alle stelle delle dot.com, sul supporto dato alle stesse da una finanza molto sofisticata che sembrava lasciare ben poco spazio a ex casse rurali e ?banchette? di Paese. Al cui interno si immaginava lavorassero ormai solo tanti demotivati Carabba, il protagonista del romanzo La morte in banca di Giuseppe Pontiggia, che a pochi mesi dall?assunzione teme di diventare un impiegato a una sola dimensione a forte rischio di alienazione. Non solo numeri Dopo sei anni, a pochi giorni dall?apertura dell?assise di Parma dove si ritroveranno dal 9 all?11 dicembre tutte le banche di credito cooperativo italiane per discutere del loro futuro, non si può non prendere invece atto che queste hanno avuto la vista lunga. Molto lunga. E ciò non solo perché sono i numeri ad attestarlo. Numeri, davvero, inequivocabili: negli ultimi cinque anni, infatti, le Bcc hanno accresciuto del 94% i crediti erogati a famiglie e imprese con un saggio annuo di crescita del 13,5%, che è in media il doppio (con punte del triplo nel 2004) rispetto a quello del resto dell?industria bancaria (+7,5%); oggi il credito cooperativo è il primo gruppo bancario in Italia per numero di sportelli (3.535, pari all?11,3% degli sportelli bancari italiani); il terzo per patrimonio (13,1 miliardi di euro, +7,1% rispetto al 2004); il quarto per raccolta diretta (98,1 miliardi di euro, pari a una quota di mercato dell?8,3%); il sesto per impieghi (80,1 miliardi, ossia +13% rispetto al 2004 a fronte di un +8,1% per il resto del sistema e che corrisponde a una quota di mercato del 6,5%). Ma, dicevamo, non è solo una questione di numeri e percentuali. O meglio, questi sono ?a valle?, sono la coerente conseguenza di scelte lungimiranti che hanno visto le Bcc puntare, ogni volta prima di altri soggetti creditizi, su frontiere inedite dell?attività bancaria, peraltro a forte ritorno reputazionale. E’ il caso, per esempio, del microcredito con il progetto Microfinanza campesina. Oppure dell?istituzione (novità assoluta per il sistema bancario italiano) di un fondo di garanzia degli obbligazionisti che consente ai risparmiatori clienti delle Bcc di ottenere, entro il limite di 103mila euro, senza alcun aggravio di costi, garanzia del loro rimborso in caso di insolvenza della banca emittente. O ancora, della forte connotazione identitaria, efficacemente veicolata con campagne promozionali ad hoc molto efficaci («differenti per forza»). In proposito, Donato Masciandaro, commentando l?ultimo rapporto della Fondazione Rosselli sul sistema finanziario italiano di cui è stato uno dei curatori, ha sottolineato: «Le banche di credito cooperativo hanno una identità istituzionale e anche una chiara identità territoriale. Le banche popolari hanno una chiara identità istituzionale e spesso una chiara identità territoriale. Le banche nazionali sono invece, passatemi il termine, delle banche senza volto». Sull?ultimo numero di Communitas, Francesco Micheli, uno che di finanza se ne intende come pochi, afferma che «il peccato della nostra classe dirigente è il peccato di omissione nei confronti della cultura, della qualità della vita e delle relazioni umane». Le Banche di credito cooperativo, come abbiamo visto, in questi anni un simile peccato non l?hanno commesso. Dovrebbe a questo punto quindi essere chiaro perché sono arrivate dove sono arrivate?.


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