Famiglia

Il piatto è pieno eppur si muore

Le parole della marcia/Cibo e lavoro. Si produce più del fabbisogno eppure 24 mila persone muoiono di fame ogni giorno. Intervista a Nicholson

di Barbara Fabiani

Immaginate una grande mappa del mondo, una mappa di Peters, se non vi dispiace. E ora, immaginate che ogni 3,6 secondi un paese dell?emisfero sud si illumini per un breve istante. Ecco, prima il Congo, poi il Guatemala, poi la Thailandia, l?India, il Brasile e così via ogni volta che contate fino a tre. Questo luccichio vi segnala lo spegnersi di una vita per fame, circa 24mila persone ogni giorno. Di queste, una parte considerevole sono bambini. Ora visitate con la mente un supermercato qualunque, o un megastore di ultima generazione se preferite, con scaffali traboccanti di cibo, e chiedetevi che cosa c?è che non funziona in questo schema. La stessa domanda l?abbiamo posta a Paul Nicholson, un basco che ha cominciato la sua vita come contadino nelle terre aspre di Euskadi e oggi fa parte del comitato direttivo di Via Campesina, una ong internazionale di contadini, nata otto anni fa per combattere lo strangolamento delle realtà rurali da parte della globalizzazione . Vita: La produzione di cibo mondiale non è mai stata così elevata. Eppure milioni di persone soffrono ancora la fame. Perché? Nicholson: È vero, oggi si produce il 150 per cento della necessità di cibo al mondo, ma le statistiche ufficiali dicono che la metà della popolazione mondiale è malnutrita o denutrita. La maggioranza della popolazione mondiale che è affamata vive nelle zone rurali: sono coloro che producono il cibo e che, allo stesso momento, soffrono maggiormente la fame. Non è una questione di tecniche di produzione o di mancanza di mezzi, ma è una conseguenza di scelte politiche ed economiche. L?economia liberista dà la precedenza al commercio o alla produzione orientata all?esportazione. Vita: Perché ascrive la fame nel mondo all?economia liberista? Nicholson: Il Wto sta distruggendo la capacità di produzione a livello locale. Questa è una diretta conseguenza del commercio globale alla sua massima estensione. Uno dei criteri principali del mercato è quello di ridurre i costi di produzione. Per reggere la concorrenza al ribasso, i piccoli contadini sono costretti a vendere alle multinazionali il loro prodotto al di sotto del costo di produzione, cosa che non è sostenibile a lungo. Ciò conduce presto alla povertà, all?abbandono dei campi e alla migrazione verso le città. Questo sta accadendo non solo in America latina, in Africa o in Asia, accade allo stesso modo nei paesi dell?Unione europea dove ogni anni ben 200mila produttori agricoli abbandonano la terra. In pratica nell?Unione europea tra pochi anni non ci saranno più contadini. Vita: Ci spieghi il rapporto tra globalizzazione del commercio e fame nel mondo. Nicholson: L?importazione di cibo a più basso costo sta distruggendo la capacità di produzione locale. E in questo l?Ue e gli Usa sono i soggetti principali che minacciano la sicurezza alimentare dei paesi poveri. Ad esempio, l?Europa sta esportando a metà prezzo il latte in India, cosa che rende impossibile ai produttori di latte locali di continuare a vendere il loro prodotto a un prezzo ragionevole, cadendo in povertà loro e i loro lavoratori. Ciò sta distruggendo in India la capacità di produrre latte. Allo stesso modo gli Usa stanno esportando mais in Messico, per giunta mais geneticamente modificato, avendo di fatto obbligato il governo messicano ad accettare le esportazioni di ogm sul loro mercato. Ciò non solo distrugge l?economia dei contadini di mais locale, ma per competere con l?importazione li si convince ad acquistare sementi ogm e relativi pesticidi, creando una dipendenza con le industrie biotecnologiche e contaminando l?ambiente. Vita: Cosa ne pensa dei programmi di aiuti alimentari ai Paesi poveri? Nicholson: Gli aiuti alimentari devono essere uno strumento di emergenza per situazioni di crisi. L?applicazione degli aiuti alimentari come politica di sviluppo si ritorce contro la possibilità di sviluppare o sostenere la produzione locale. I maggiori Paesi investitori usano gli aiuti alimentari per controllare il mercato del cibo. Vita: Cosa intende dire esattamente? Nicholson: Il cibo è utilizzato in una strategia geopolitica. Introducendo nuove abitudini alimentari si distrugge anche la ?sovranità alimentare? di un Paese . Per una nazione la ?sovranità alimentare? è fondamentale. Credo nel diritto delle popolazioni di proteggere le loro politiche agricole. Vita: La mancanza di cibo è spesso alla radice della disperazione di molti popoli… Nicholson: Direi di più. Spesso è alla radice di conflitti sociali. Guardiamo alla crescita nel mondo delle tensioni razziali o etniche. Anche questo è una conseguenza della distruzione di produzioni locali. Come? La distruzione della sicurezza alimentare a livello locale impoverisce i contadini che debbono abbandonare le campagne riversandosi nelle bidonville delle città. Queste massicce migrazioni e inurbanizzazioni creano forti conflitti tra popolazioni diverse o tra fasce di popolazioni. Per come vengono impoverite le campagne, la città è il luogo che può offrire una sopravvivenza, ma il sovraffolamento e la competizione per la sopravvivenza generano conflitti. Vita: Secondo le industrie biotech, gli ogm sono uno strumento per accrescere la produttività e il benessere… Nicholson: Non è affatto vero. La strategia è quella dell?imposizione di uno specifico modello di produzione e di diffusione di un modello di consumo. Alimentazione: bambini più a rischio Circa 24mila persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate: dieci anni fa erano 35mila e 41mila, 20 anni fa. Tre quarti dei decessi (18mila) interessano bambini sotto i 5 anni d?età. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Il dato è migliorato rispetto al 28% di 50 anni fa. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benché queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica.


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