Sostenibilità

Il pianeta “spremuto” sta per dire basta

Mathis Wackernagel, presidente di Global Footprint Network

di Natascia Gargano

«Consumiamo quasi
il 50% in più di quello che
la Terra riesce a rigenerare. Questo significa in primis cambiamento climatico,
ma anche scarsità d’acqua, collasso della pesca, diminuzione della biodiversità, riduzione
delle foreste. Il crollo delle risorse porterà
a conflitti, anche violenti,
e a condizioni economiche
e di vita peggiori»
Consumiamo quasi il 50% in più di quello che la Terra riesce a rigenerare. Per intenderci, la natura impiega 18 mesi per produrre le risorse che noi usiamo in un anno. A conti fatti, per soddisfare in maniera sostenibile le nostre esigenze avremmo bisogno di un Pianeta e mezzo. Parola di Mathis Wackernagel, presidente di Global Footprint Network, l’istituto di ricerca internazionale che misura l'”impronta ecologica” della Terra. Dal 2000 pubblica con il WWF, ogni due anni, il Living Planet Report, l’analisi dello stato di salute del Pianeta.
Ecomondo: Qual è la differenza tra il consumo di risorse naturali e la capacità della Terra di rigenerarle?
Mathis Wackernagel: I nostri dati parlano di una differenza di oltre il 40% nel 2005, che quest’anno potrebbe sfiorare il 50%. Sono stime al ribasso, l’attuale “overshoot” (sovra consumo) potrebbe essere ben più alto. Scenari moderati elaborati dalle Nazioni Unite mostrano come, procedendo di questo passo, occorrerebbe il doppio dell’attuale capacità del pianeta per soddisfare le esigenze dell’intero genere umano.
Ecomondo: Perché questa forbice continua ad aumentare?
Wackernagel: Perché la domanda umana di risorse non smette di crescere. Abbiamo un modello economico che si affama di risorse ogni anno di più. Questo è il problema.
Ecomondo: Quali sono le principali conseguenze di questa tendenza?
Wackernagel: Siamo in una situazione di sovraconsumo ecologico globale, il “metabolismo” umano sta diventando troppo grande per il pianeta. Questo significa in primis cambiamento climatico, ma anche scarsità d’acqua, collasso della pesca, diminuzione della biodiversità, riduzione delle foreste. Il crollo delle risorse porterà a conflitti, anche violenti, e a condizioni economiche e di vita peggiori. Tutto questo sta già accadendo, basta guardare come la crisi ambientale ha devastato Haiti.
Ecomondo: Consigli per un’inversione di rotta?
Wackernagel: Ci sono due grosse aree d’intervento: primo, contenere i consumi urbani pro capite entro un ettaro (oggi l’impronta ecologica media è più che doppia). Un altro terreno con ampi margini di miglioramento è l’investimento massiccio nella consapevolezza femminile: questo porterebbe a condizioni di vita migliori non solo per le donne stesse ma anche per le loro comunità, e agevolerebbe la riduzione delle dimensioni delle famiglie. In tempi di overshoot globale riteniamo vantaggioso diminuire progressivamente il numero della popolazione.
Ecomondo: Copenhagen è alle porte, ma un accordo ambizioso sul clima sembra essere sfumato. Come convincere i singoli governi dei rischi nel procedere “business as usual”?
Wackernagel: Senza un accordo vincolante a Copenhagen il mondo andrà velocemente fuori controllo. Non far nulla perché nessun altro lo fa, non solo è stupido ma anche insensato perché mette a repentaglio le capacità di reazione nel lungo termine delle singole realtà nazionali. I governi che hanno adottato iniziative individuali al di là delle decisioni della comunità internazionale, hanno capito meglio di altri che ridurre l’impatto ambientale domestico è anzitutto nel loro interesse.
Ecomondo: La crisi economico-finanziaria internazionale, un’opportunità per l’ambiente?
Wackernagel: Poteva esserlo. Avremmo potuto usare gli incentivi economici per costruire una vera economia sostenibile, invece abbiamo investito gran parte delle risorse nei problemi del passato, scavandoci una fossa ancor più profonda nella dipendenza da risorse. È a dir poco triste aver sprecato una tale opportunità.


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